martedì 10 gennaio 2012

Il mantra avvelenato delle riforme



...la politica ha ripreso a trastullarsi col suo gingillo preferito: le riforme costituzionali. Non è una novità, sono trent'anni che ci giriamo attorno. Nel frattempo abbiamo sfogliato tutti i petali di questa margherita, dal presidenzialismo al cancellierato, dal neoparlamentarismo al premierato. Ora è il turno del semipresidenzialismo alla francese, evocato a gran voce dalla Lega. Neanche questa è una prima assoluta, benché pochi ne serbino memoria. Un mercoledì di giugno del 1997 la Bicamerale di D'Alema lo scelse infatti come futuro sistema di governo, sia pure in modo alquanto accidentale... tanto per noi italiani ciò che conta è una bella targa straniera sul modello di riforma, francese o inglese fa lo stesso.

Sta di fatto che in Francia il semipresidenzialismo esprime precisi connotati. In primo luogo, nel 1958 venne imposto da De Gaulle con uno strappo costituzionale, giacché il progetto di riforma non fu mai discusso in Parlamento; ma speriamo che almeno questo ci venga risparmiato...


In secondo luogo, l'obiettivo di De Gaulle era di mettere un bavaglio alle assemblee elettive; e infatti il Parlamento francese non ha mai avuto una salute di ferro...Per un Parlamento malaticcio com'è ormai quello italiano, il semipresidenzialismo insomma può risolversi nel colpo di grazia, quello che ti toglie il fiato in gola. In terzo luogo, e soprattutto, l'attributo più pregnante del modello francese descrive altresì il suo fattore di maggior debolezza. La Quinta Repubblica – diceva Duverger – è infatti un'aquila a due teste, con un capo di Stato eletto direttamente dal corpo elettorale e un Primo ministro sostenuto dalla maggioranza in Parlamento. Tutt'e due a dividersi il menù, talvolta litigando (è accaduto nei 9 anni di coabitazione fra esponenti di partiti avversi), talvolta col secondo ridotto a maggiordomo del presidente in carica. Da qui una perenne fonte di incertezza: non a caso in mezzo secolo di vita la Costituzione francese ha attraversato 23 revisioni.

Ma forse per i politici italiani vale di più l'unica certezza che si può comprare in Francia: la doppia poltrona. In una ci fai sedere Berlusconi, nell'altra può sempre accomodarsi Bossi. E Fini? Se il metro di giudizio è questo, più che un semipresidenzialismo servirebbe un tripresidenzialismo, un presidenzialismo al cubo. Senza dire che i modelli non si possono copiare a pezzi, questo sì, quello no. In Francia c'è una legge elettorale che contempla il doppio turno, e che a sua volta è un po' come il cemento che tiene insieme l'edificio: prendiamo pure quella? Sempre in Francia c'è uno Stato accentratore, dove i 36 mila municipi hanno ben pochi poteri, e dove i prefetti esprimono la voce del padrone: come si concilia questo monolite con il federalismo della Lega? Tanto varrebbe allora spingere lo sguardo verso un autentico Stato federale, gli Usa di Barack Obama. A patto di importare tuttavia anche i poteri del Congresso americano, dove il presidente non può nemmeno metter piede. Nonché la sacralità del potere giudiziario, che può permettersi di convocare il papa in qualità di testimone, come è stato appena chiesto al tribunale di Louisville.

No, non è un vestito d'Arlecchino l'abito che ci renderà eleganti. Né un vestito preso a prestito, perché ogni popolo ha la sua taglia, e ha pure la sua storia...

   (Michele Ainis su La Stampa del 7/4/2010)

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“Temevo che si tornasse a parlare di modello semipresidenziale, il sistema meno imitabile che esista, e che, se applicato nella forma attualmente vigente Oltralpe, potrebbe  svilire definitivamente i ruolo del Parlamento”. Umberto Coldagelli, studioso della storia della Quinta Repubblica francese e di Alexis de Tocqueville, interviene nel dibattito sulle riforme costituzionali. “...il Parlamento verrebbe ridotto al ruolo di camera di registrazione, perdendo per sempre la sua centralità... Pensiamo se al posto di De Gaulle, a esercitare gli enormi poteri di fatto assunti dal Capo dello Stato transalpino, fossero stati politici privi del suo spessore e del suo senso dello Stato...”

   (Edoardo Petti sul Riformista dell'8/4/2010)