giovedì 14 dicembre 2017

Banche, perché il campanilismo toscano è peggio della sindrome nimby

C'è una sorta di ottusità toscana nell'atteggiamento di Boschi e Renzi su Banca Etruria. Una ottusità comune per la verità ad altri campanilismi ma particolarmente forte in Toscana, dove il legame con il territorio è una cosa quasi religiosa e l'ottuso attaccamento alle tradizioni locali è un male che procura danni all'economia più della corruzione, della sindrome del nimby e dei Tar che imbrigliano le libere forze del mercato.

Basti pensare al rito primitivo che ancora oggi pervade Siena e i suoi abitanti durante il Palio o all'attaccamento esagerato ad un paesaggio noioso come quello delle colline di quelle parti.

Comunque non è il caso di deragliare sull'antropologia.

Basta elencare alcuni fatti.

1) L'ostinazione con cui Boschi e Renzi ripetono che il governo ha commissariato Banca Etruria è nel migliore di casi sintomo di approssimazione. A decidere di commissariare le banche è la Banca d'Italia. E' vero che formalmente la Banca d'Italia propone e il ministero dell'Economia dispone ma la vera notizia sarebbe un commissariamento proposto da Banca d'Italia e non attuato dal Mef. Insomma: è un atto dovuto o quasi. Rivendicarlo come un merito è un po' naif da parte di entrambi. Ripetere "noi li abbiamo mandati a casa" insomma è davvero un po' naif. Date retta.

2) Boschi non ha fatto nulla di male a parlare con Vegas su Etruria e non avrebbe fatto nulla di male anche parlando con Ghizzoni, qualora l'avesse fatto. Il problema è cosa ha detto, perché quello che sembra chiaro è che lo ha fatto non con l'autorevolezza di un esponente di governo qual'era ma con l'approssimazione di una autorità locale qualsiasi, preoccupata - come una qualsiasi municipalità di un qualsiasi comune toscano o di altra regione - del legame con il territorio della banchetta di paese. E per questo chiedeva a Vegas, che poi non c'entrava nulla, se secondo lui Vicenza andava bene.
Che poi è la stessa preoccupazione che avevano gli amministratori, i sindaci e i presidenti di provincia quando ad Etruria si raccomandava di cercare un interlocutore. Non volevano la Banca Popolare di Vicenza non perché fosse inguaiata - nel 2014 non lo era o nessuno ancora lo aveva ben capito. Non volevano Vicenza perché non avrebbe fatto gli interessi del "territorio". E per questo e solo per questo hanno detto di no. Meglio una banchetta, insomma, anche se poi è andata come è andata.

3) Ha ragione Renzi che questa è diventata un'arma di distrazione di massa. Fin dall'inizio l'attenzione su Etruria è stata decisamente eccessiva, responsabilità delle opposizioni in Parlamento. Il vero tema sarebbe come è il sistema bancario italiano, quali limiti ha. Di questo non si è parlato abbastanza in commissione. Però è anche per colpa di Renzi e dei suoi deputati e senatori, che hanno passato il tempo a cercare di dimostrare che c'è stato un problema di "vigilanza", cioé che la Banca d'Italia ha qualche colpa. Il fallimento delle banchette però non è colpa di Bankitalia né di Vegas né della Boschi né di Renzi. E' colpa degli amministratori delle banchette e della loro illusione di fare senza le fusioni. E' colpa del fatto che esistesse una banca con il nome "banca popolare dell'etruria e del lazio". Oggi, per dire, Cariprato, che fu presa da Vicenza qualche anno fa, è in mano a Intesa Sanpaolo, perché solo così può sopravvivere. Se ne faranno una ragione, i sindaci e presidenti di provincia e i toscani tutti?


sabato 2 dicembre 2017

Orfini e le "bugie" di Bankitalia

Non saprei dire se si tratti di sprovvedutezza da primo della classe o di ignoranza ma trovo in ogni caso molto fastidioso il tono di Matteo Orfini. Oggi in una intervista afferma che "dire le bugie è peccato". Si riferisce alla Banca d'Italia che - dice lui - pensava di affidare alla Banca Popolare di Vicenza il compito di "aggregare parte del sistema" bancario, favorendo l'acquisto di Banca Etruria. E' inquietante, dice Orfini, che Bankitalia abbia potuto considerare una "banca in difficoltà" come la Popolare di Vicenza come possibile ancora di salvataggio per Etruria.

Visto che oggi sono entrambe banche fallite, dirà il lettore, Orfini ha pienamente ragione.

I fatti però sono diversi e per parlare di queste cose bisogna saper bene di cosa si parla. Orfini fa il primo della classe dicendo che "Bankitalia conosce le carte che ci ha consegnato e che sono secretate e nei le abbiamo lette", facendoci pensare a chissà quale segreto. Ma su Vicenza ed Etruria misteri non ce ne sono. Bankitalia disse in tutti i modi ad Etruria, nel 2013, di cercarsi un interlocutore di "adeguato standing", ovvero una banca più grande. Etruria cercò e l'unica che si fece avanti fu Vicenza. Non fu Bankitalia a sponsorizzarla. Bankitalia prese atto che altre offerte non arrivarono. Doveva fermare l'operazione perché c'era stata una indagine su Pop di Vicenza, in particolare sul prezzo dell'azione, quattro anni prima? Davvero Orfini vuol dire questo?

La verità è che Vicenza fu respinta da Etruria. Ma non perché fosse una banca inguaiata. Nessuno lo pensava. Fu respinta perché pretendeva di comprare a poco e non avrebbe "valorizzato" la "territorialità" di Etruria che - come tutte le banchette - è sempre molto attenta al territorio. Ad opporsi a Vicenza furono il sindaco - Giuseppe Fanfani - i sindacati, e ovviamente gli amministratori di Etruria. Dov'è il mistero? Perdipiù quelli che dicono "meno male" non riflettono su un dato: oggi Etruria è fallita. Magari, con quella fusione, non lo sarebbe stato. Certo non sarebbe andata peggio di come è andata.

Non penso affatto che il Pd o Renzi o la Boschi siano responsabili di come è andata a finire Etruria. Penso che i responsabili del disastro di Etruria siano gli amministratori di Etruria. In parte c'entra anche il "territorio", perché la miopia del territorio è sempre un elemento che conta nel destino di queste banchette. In parte anche il fatto che il territorio allora non disse nulla e oggi è invece un grande coro di "dov'era Bankitalia?".

Qualche anno prima Vicenza aveva rilevato un'altra banca toscana finita male: CariPrato, a causa della crisi del tessile e di "certi errori gestionali", come scrivevano i giornali.
Con la banca toscana erano andati a Vicenza anche alcune opere d'arte. "Ridateci Caravaggio", tuonavano qualche anno dopo sindaco, presidente della Provincia, presidente degli industriali.
Addirittura il presidente della Regione Rossi scrisse a Zonin, a proposito delle opere d'arte.
Ma Vicenza nel 2013 era considerata ben messa. E' vero che era stata oggetto di attenzioni dalla Banca d'Italia negli anni precedenti. E' anche vero però che inaugurava una sede a Roma (occasione nella quale annunciava anche l'assunzione di un ex di Bankitalia, tra l'altro) e ne prometteva una a Mosca. E annunciava acquisizioni. Non solo di Etruria.
Chissà, se le cose fossero andate diversamente oggi avremmo avuto un Orfini laudatore del genio imprenditoriale di Zonin.


venerdì 1 dicembre 2017

Le sette notizie del 2 dicembre

Per capire meglio la questione Ilva ascoltate Borraccino

Per capire meglio la questione Ilva è meglio andare oltre lo scontro tra Calenda ed Emiliano e il sindaco di Taranto e i rispettivi tweet. Il DPCM su Ilva risale a settembre e fin da subito le autorità locali hanno chiesto modifiche, in particolare alle prescrizioni che concedono maggior tempo ad Am Investco, la società che ha rilevato Ilva, partecipata in gran parte dalla multinazionale Arcelor Mittal,  per le opere di carattere "ambientale". In gioco c'è anche il potere della Regione, che ha sue normative sulla salute pubblica.

L'oggetto di contesa di questi giorni però riguarda un ricorso al Tar presentato dalla Giunta Regionale della Puglia e dal Comune di Taranto che - a detta del ministro Calenda - rischia di far chiudere Ilva.
Emiliano invita invece a non creare panico e insiste sulla sua posizione


Sicuramente su Ilva a Taranto ci sono punti di vista molto diversi: una grande azienda siderurgica non è comunque una industria a basso impatto ambientale e dunque non potrà mai essere "pulita". Non piace a una parte della città - un comitato genitori ne chiede semplicemente lo smantellamento. Un'altra parte della città la vuole perché vuol dire 10 mila posti di lavoro senza considerare l'indotto. Difficile decidere, insomma.

Detto questo, stupirà scoprire che nel consiglio regionale della Puglia un consigliere di Sinistra Italiana, sicuramente più "a sinistra" di Emiliano dunque, ha presentato un ordine del giorno per chiedere alla Giunta regionale della Puglia di ritirare il ricorso al Tar. Se ne discuteva oggi.
Solo che la sua proposta, una ragionevole proposta di uno che, più che twittare, diceva: discutiamo con il governo e cerchiamo di ottenere qualcos'altro, non è passata. Emiliano ha parlato, poi lungo dibattito, poi sono iniziate le procedure di voto e gran parte dei consiglieri regionali sono usciti dall'Aula. E quelli che erano in Aula si sono astenuti.  Dunque dopo cinque ore di dibattito il voto non c'è stato, per mancanza del numero legale. Così per un'altra settimana si potrà continuare ad andare di tweet.

Il consigliere si chiama Mino Borracino e per capire meglio la questione vale la pena, in conclusione, leggere quello che ha detto, nei giorni scorsi:

"Ribadiamo ancora una volta che, a nostro avviso, l’unica strada concreta che il Governo deve praticare per coniugare il diritto al lavoro con quello alla salute, è quella di espletare, all’interno delle procedure AIA, la Valutazione dell’Impatto e del rischio Sanitario, così come indicato nelle linee guida VIIAS, redatte dalle Agenzie nazionali di Ispra e Arpa, al fine di garantire la tutela di lavoro e salute all’interno delle procedure di Autorizzazione agli impianti a forte impatto ambientale e sanitario.Il Governo, attraverso il Decreto Balduzzi del 2013, escludeva l’applicazione delle valutazioni sanitarie nell’AIA per le aziende Siderurgiche, facendo così un regalo agli inquinatori e impedendo così di valutare l’esistenza di un rapporto equilibrato fra la presenza della produzione di acciaio e la Città di Taranto. Questo Decreto va cambiato e chiediamo al Governo di farlo. Detto questo, non capiamo la posizione ondivaga del Presidente Emiliano che, fino ad ora si è distinto per non sollevare mai questa situazione, nonostante la Legge sulla Valutazione del Danno Sanitario (L.R. n. 21 del 2012) sia uno dei capisaldi della legislazione della Puglia. Un esempio per l’Italia intera, essendo la prima Norma italiana che disciplina questa delicata materia. Ancor più incomprensibile, e anche un po’ grave, ci sembra la mancata applicazione della Legge regionale sulla Valutazione del Danno Sanitario nei confronti dell’Enel, per l’AIA della centrale elettrica di Cerano. Se è vero, infatti, che per il siderurgico la competenza regionale è stata esautorata dal Governo, è altrettanto vero che sulla centrale a carbone di Cerano (altro grande impianto impattante, al centro di polemiche e inchieste sull’inquinamento dell’area di Brindisi) la competenza della Regione Puglia c’è tutta. Come mai il Presidente Emiliano non ha applicato la Legge regionale nel caso dell’AIA alla centrale di Cerano, avendone piena competenza, mentre per l’Ilva di Taranto sale sugli scudi di una polemica con il Governo che rischia solo di produrre ancor più divisione fra ambientalisti e operai, senza offrire una soluzione? Perché il Presidente Emiliano fa la voce grossa quando la competenza nell’applicare le Norme appartiene ad altri Enti, mentre si defila quando la possibilità, se non il dovere, di applicare le Leggi è nelle sue mani?
Non diciamo questo per polemizzare con il Presidente della Giunta regionale, ma per richiamarlo all’impegno che assieme a lui, abbiamo assunto con i Pugliesi. Questo impegno, prevede anche l’applicazione da parte del Governo pugliese delle Leggi regionali in vigore".