lunedì 28 settembre 2015

"Far politica oggi: i giovani discutono con Ingrao a Torino"

L'Unità ha un bell'archivio online, ci sono proprio le pagine del giornale, se cercate con pazienza trovate pure diverse delle edizioni clandestine degli anni 20, e da lì in avanti fino al 2008.
Comunque, vi faccio omaggio di una sobria cronaca di un incontro che Ingrao fece con i giovani del Pci a Torino.
Caruccio anche perché ad introdurre Ingrao c'era il giovane Giuliano Ferrara, nella sua qualità di presidente dell'Assemblea. Dava la parola a Livia Turco e pure a una cattolica di base che adesso se magnerebbe a mozzichi.
Buona lettura. Era il 28 novembre 1978

"Una riflessione su ciò che avviene: così Pietro Ingrao domenica ha definito il suo discorso al Teatro Carignano, gremito dalla platea all'ultima galleria. E' stata una riflessione appassionata e corale non solo per la partecipazione del pubblico. che ha applaudito spesso e con calore, ma per il modo in cui la riunione era stata concepita dagli organizzatori, la Federazione comunista e la Federazione giovanile. Giuliano Ferrara, che presiedeva l'assemblea aveva dato la parola, prima di Ingrao a quattro giovani, che avevano presentato i problemi delle nuove generazioni — tema della manifestazione — con ottiche diverse: Livia Turco. segretario della FGC torinese, Oliviero Nomis militante del Pdup, Elena Manzione, del Movimento cattolico di base, Claudio Valeri, dirigente dei giovani socialisti".
"In forme diverse un tema è stato al centro dei quattro interventi: la democrazia, il modo di far politica oggi. Il presidente della Camera ha richiamato la esperienza della propria generazione che comprese — per forza di grandi, tragici eventi — come il « privato » non poteva salvarsi senza un impegno pubblico di massa. Per « opporsi ad Hitler, alla sua ideologia totalizzante bisognava essere milioni, nazioni intere ». Anche in quella scelta dunque il « privato » la « soggettività » entrò moltissimo. Ai compagni anziani Ingrao ha detto: stiamo attenti a pensare che i giovani abbiano perso la bussola, non abbiano più una prospettiva: rivalutare la soggettività non è. di per sé. un ripiegamento. Ma i giovani debbono sapere che anche certe ansie, certe infelicità che essi vivono, esistono perché siamo andati avanti, abbiamo combattuto e lottato. Quando Berlinguer a Genova ha detto che i giovani di oggi, con i loro problemi sono figli nostri, ha detto una cosa giusta. Tiriamone le conseguenze — ha esclamato Ingrao — e agiamo verso di loro senza paternalismi. Sul lavoro i giovani oggi non si pongono più solo il problema del salario, ma quello dei fini del proprio operare. ricercano quel rapporto fra prodotto e produttore sul quale x indagava. Ingrao ha ricordato la sconfitta alla Fiat del 1955 e la dura lotta per riconquistare il diritto di organizzazione sul luogo di lavoro. Grandi lotte democratiche si sono combattute, qualcosa in questi anni si è modificato in modo irreversibile. Un modello di sviluppo, quello della Fiat, ancora pochi anni fa indicato come simbolo della modernità, è entrato in crisi; è cresciuta la coscienza operaia sui grandi problemi del Paese, a cominciare da quello del ; rapporti nuovi si sono stabiliti con la cultura e con la scuola, cioè col momento formativo. Una condizione antica di arretratezza si è superata ' con la scolarità di massa. a donna, della condizione femminile, dei rapporti interpersonali, della etica della coppia si parla in a in modo del tutto diverso da pochi decenni or sono. l problema oggi — ha sottolineato o — è l'allargamento della democrazia. l'invenzione di nuovi modi di far politica. la crescita e la capacità delle masse — con al centro la classe operaia — di intervenire nei punti decisivi della vita nazionale. Su questo tema o è tornato rispondendo ieri mattina. nella storica sala del consiglio comunale, al cordiale saluto del sindaco o Novelli. « Nostro compito, al centro dello Stato e nelle assemblee dove sempre più deve decentrarsi il potere, non è solo far buone leggi ma lavorare tutti insieme perchè la vita degli organismi della nostra democrazia sia quella che i cittadini vogliono ». Il sindaco aveva ricordato le vittime del terrorismo, gli uomini della polizia e dei carabinieri, i giornalisti, gli uomini politici, fino all'architetto De Orsola, cattolico attivissimo in quella più recente forma di articolazione democratica che sono i comitati di quartiere".

lunedì 14 settembre 2015

Mariana, perché?

Giuro, ho grande stima per Mariana Mazzucato, ho letto il suo libro sullo Stato imprenditore, l'ho pure intervistata una volta, quando ancora non era famosa. Amo pure Brian Eno. E Varoufakis mi sta simpatico. Ma quando sento di una nuova narrativa economica per l'Europa di cui parlerebbero questi tre mi viene da mettere mano alla pistola, come diceva quello.

sabato 12 settembre 2015

"Dentro la Corte" di Sabino Cassese, diario di uno "straniero" alla Consulta

Sabino Cassese ha pubblicato per il Mulino Dentro la Corte, un suo “diario” da giudice costituzionale.

E' un documento straordinario per un Paese come il nostro dove – come dice lui stesso - “i titolari di cariche pubbliche raramente scrivono libri di memorie o pubblicano i diari delle loro attività”. Eppure – a parte qualche recensione veloce – è come se non fosse stato letto. Eppure quelle pagine contengono annotazioni e riflessioni giuridiche alternate a giudizi “politici” che farebbero la gioia dei retroscenisti dei quotidiani. Quando – nel 2014 - la Consulta discute di unioni civili, per esempio, a Cassese arriva un biglietto con la scritta: “Perché il Papa non è rimasto ad Avignone?”.
Il suo dunque è un vero diario, con annotazioni curiose, persino divertenti, che raccontano la vita quotidiana di un giudice costituzionale, mescolate a riflessioni sulle decisioni prese, sul ruolo della Corte, sul suo funzionamento, sugli altri sistemi (sono moltissime infatti le osservazioni su decisioni delle Corti degli altri Paesi, specie degli Usa e della Germania).

Quel che Cassese fa fin dall'inizio è discutere la consuetudine di eleggere presidente il giudice più anziano, scelta che “significa anche soddisfare l'ambizione di molti di essere per qualche tempo la quarta carica dello Stato e di poter poi fregiarsi del titolo di presidente emerito”. Dunque, osserva nei primi giorni del suo mandato, nel novembre 2005, per distinguersi in quel contesto sarebbe preferibile scegliere “in base al criterio della rarità”.
Confermerà la scelta del “criterio della rarità” in una lettera che invierà ai suoi colleghi il 14 luglio 2014 per chieder loro, in vista della imminente elezione del presidente, di non essere preso in considerazione come candidato ritenendo “inadeguato alle esigenze funzionali e al prestigio stesso della Corte un incarico della durata di tre mesi nominali (di cui uno estivo) che si ridurrebbero a tre giorni effettivi di presidenza del collegio”.

La Corte Costituzionale è nata nel 1956, e da allora si sono succeduti 60 Presidenti. Cassese, che titola uno degli ultimi capitoli del libro Ho partecipato alla nona elezione di un Presidente in nove anni, ricorda che la Costituzione prevede che i Presidenti rimangano in carica tre anni mentre nella sostanza la loro durata in carica è spesso inferiore all'anno. Conosce l'argomento secondo il quale in questo modo si rafforza la “collegialità dell'organo” ma pure non ignora le “critiche costantemente rivolte alle nostre presidenze brevi” che, pur se a volte “infondate”, sono “comunque corrosive e tali da recar danno alla reputazione della Corte”. Le critiche riguardano ad esempio presunti vantaggi pensionistici per chi esce dalla Corte da presidente. Cassese legge la lettera ai suoi colleghi. “La maggioranza della Corte (ma è una minoranza dei componenti) non ascolta”, annota nel suo “diario”.

Conferenziere di successo tra gli Stati Uniti, la Francia, la Germania e la Gran Bretagna, con un passato da scholar alla Stanford Law School e di professore alla Law School della New Yok University oltre che alla Normale di Pisa, una carriera di studioso, insegnante, amministratore pubblico e privato, lettore quasi “bulimico”, appassionato di letteratura ma anche di cinema, Cassese arriva alla Corte Costituzionale e scopre che “l'atmosfera è a metà tra convento e collegio di studenti”; annota nei primi giorni del suo mandato che la Corte “è come un cestino per la carta straccia” dove finiscono questioni importanti e questioni irrilevanti.
Il diario è ricco di annotazioni sui casi che in questi anni hanno occupato le pagine dei giornali, da Previti alla costituzionalità della legge elettorale, dal potere di grazia al caso Englaro, dalle extraordinary renditions alla procreazione assistita, al lodo Alfano, a molti altri; si sofferma su diverse questioni apparentemente minori ma importanti (il caso di una radio e di una legge sugli operatori nazionali merita nel libro un capitoletto intitolato Kiss Kiss); elenca alcuni “temi futili e ridicoli”, come quello della “certificazione dell'Azienda sanitaria per la movimentazione del bestiame per evitare la diffusione della febbre catarrale”.

In Dentro la Corte si apprende anche di “discussioni accese” il giorno che nevicò Roma, perché la neve aveva impedito la presentazione di un ricorso dell'Avvocatura dello Stato che pervenne fuori termine. “L'Avvocatura è un ufficio giudiziario? Lo è la Corte Costituzionale? Non è vero che gli uffici postali erano regolarmente funzionanti?”.
Molti giudici che pongono questioni alla Corte sono definiti “ignoranti” (giudizio attribuito da Cassese al presidente fino al luglio 2006, Annibale Marini).
Quanto al lavoro dei giudici costituzionali, il diario vira sul comico: “Un collega, dopo una 'settimana' di lavoro iniziata il lunedì pomeriggio e terminata la sera di martedì, ripete ironicamente lo slogan degli anni '70: lavoro zero, salario intero”.
Scrive Cassese che anche le udienze pubbliche si rivelano una delusione, sono spesso “inutili”, “un rito in cui nessuno crede”, un “presepe” in cui gli avvocati arrivano impreparati e spesso non fanno neppure domande. Quando poi si esce dal Palazzo e si partecipa a “qualche funzione esterna”, si legge ancora nel Diario, “ci sarebbe da dar ragione a quelli che ritengono la Corte italiana 'Villa Arzilla', una casa di riposo per vecchi”

Quando entra alla Corte Costituzionale Cassese si stupisce che non si raccolgano in modo sistematico le sentenze delle Corti degli altri Paesi. Quando ne esce la Corte accoglie “sistematicamente” le sentenze costituzionali straniere e traduce in inglese le proprie. Altre sue proposte rimangono invece al palo, come alcune misure per “fare risparmi”: “non sono stati fatti e il bilancio non è più sostenibile”.

La sua nomina era stata voluta fortemente da Carlo Azeglio Ciampi e Cassese racconta di averlo “fatto attendere” ma di aver poi accettato anche perché – come dirà ai suoi studenti congedandosi - “le cariche pubbliche, se offerte, non si rifiutano”.
Con qualche compiacimento riproduce in chiusura del volume l'articolo con cui Eugenio Scalfarì raccontò la sua nomina (insieme a Giuseppe Tesauro e Maria Rita Saulle) il 3 novembre del 2005 da parte dell'allora Presidente: tre “tecnici”; si scrisse allora. Scalfari raccontava di un Berlusconi “infuriato” che minacciò di non controfirmare la scelta del Presidente. Ma non lo fece. In Dentro la Corte Cassese scrive anche di sua una visita a Ciampi, che gli confida che sul suo nome Berlusconi non era d'accordo. “Gli ricordo che avevo curato la preparazione, nel 1993-1994, di una legge generale sulla televisione” e che “Berlusconi aveva dichiarato di esser costretto a 'scendere in politica' per difendersi da chi voleva regolare il Far West televisivo”.
Cassese è stato anche giudice relatore, nel 2013, della sentenza che diede torto a Berlusconi sul conflitto di attribuzione sollevato dall'ex Cav nei confronti del Tribunale di Milano. Ma appena terminato il mandato – nel novembre del 2014 – Il Foglio lo ha definito “ilperfetto presidente della Repubblica perché non è “mai diventato un militante dalle tre narici”, non ha mai brandito la Costituzione “come se fosse un'arma da sfasciare sulla testa di qualche outsider malcapitato”.
A Cassese non sfugge che si parli di lui come possibile Capo dello Stato e, probabilmente dopo le elezioni del 2013, titola un capitoletto Parentesi presidenziale.

Dentro la Corte offre questi e molti altri spunti su questioni che rimangono di stringente attualità. Per esempio: in questo mese il Parlamento tenterà per l'ennesima volta di eleggere tre giudici costituzionali. Per il primo dei tre sarà la ventisettesima votazione (Cassese era ancora in carica quando ci fu il primo tentativo, nel maggio 2014). Per gli altri due le fumate nere sono state di meno (quattro per il secondo, due per il terzo). In ogni caso la Corte Costituzionale da mesi lavora a ranghi ridotti, con 12 membri invece che 15.
Cassese, anche di recente, ha criticato il ritardo ma ha anche ricordato che pure in passato “sono verificate attese lunghe per le decisioni parlamentari. La Costituzione non prevede sanzioni. Si potrebbe dire 'imputet sibi', perché così il Parlamento gioca un ruolo , a suo danno”.
Nel libro in compenso più di una volta critica la crescente tendenza anche dei “presidenti ponte” a fare dichiarazioni alla stampa; una tendenza che “risponde alla logica del segnalarsi, del farsi notare come presidenti anche balneari. Il moralismo, in questi casi, è rivolto agli altri, al Parlamento che non elegge due componenti della Corte. Ma da quale pulpito viene la predica? Non sarebbe meglio star zitti?”.
Cassese vorrebbe la dissenting opinion, ovvero la possibilità di rendere pubblico un parere diverso rispetto a quelo adottato dalla Corte. Lo argomenta da tempo, sostenendo anche che non serve una legge perché la Corte cominci a funzionare così, e lo fa in appendice anche in Dentro la Corte. Se la Corte pubblicizzasse il modo in cui si è arrivati ad una certa decisione si arricchirebbe il dibattito invece di procedere, in modo sempre più incerto, sulla strada del “segreto”. Un segreto che magari uno dei tanti presidenti scioglierà appena diventato emerito.


L'ultimo capitoletto si intitola Gute Nacht, come uno dei lieder di Schubert. E con un verso da questo lied, in tedesco e vezzosamente senza traduzione, si chiude il diario. C'è scritto: “Da straniero sono venuto, da straniero me ne vado”. 

sabato 5 settembre 2015

Nomisma dice che abolire la Tasi non serve e non è equo

Abolire la tassa sulla casa è giusto, dice Renzi.
Serve per far risalire i consumi?

No, secondo Nomisma. "Il taglio dell’imposta sulla prima casa genererebbe uno stimolo per il mercato alquanto modesto, che Nomisma ha già quantificato in circa lo 0,11% rispetto al valore medio di acquisto (circa 181mila euro) per il primo anno e comunque inferiore all’1% considerando i valori attualizzati su un orizzonte decennale. Lo sgravio che verrebbe garantito ad oltre i due terzi delle famiglie italiane che vivono in una casa di proprietà risulterebbe in media altrettanto esiguo, stimabile in circa 17 euro al mese". Lo dice un comunicato di Luca Dondi, consigliere delegato di Nomisma.

Dunque la capacità di stimolo è ridicola, direi.

Dato questo, è giusta perché "equa"? Anche qui Nomisma contesta, citando l'indagine sulle famiglie italiane fatta dalla Banca d'Italia.

Basta vedere la tabella dei redditi medi rispetto al titolo di godimento dell'abitazione

Titolo di godimento dell'abitazione e reddito medio

%
Reddito medio annuo (€)
Di proprietà
67,2
35.454
In affitto o subaffitto
21,8
17.766
A riscatto
0,3
28.866
In usufrutto
3,3
26.532
In uso gratuito
7,4
23.229


Se ne deduce che i più ricchi sono i proprietari, i più poveri sono quelli che una casa non ce l'hanno. Che poi non ci voleva la Banca d'Italia, mi sa. 

La seconda tabella - sempre citata da Luca Dondi di Nomisma - spiega in maniera chiara come il rapporto tra il valore di mercato e quello catastale degli immobili italiani sia decisamente da rivedere. Spiega anche che prima di pensare a tagliare le tasse sulla casa occorrerebbe intervenire su questi numeri, sulle sperequazioni che esistono tra le città italiane (e all'interno delle città italiane) su quanto una casa vale rispetto a quanto vale per il fisco, perché è sul valore catastale che si pagano le tasse.
Se si prendono Napoli, Firenze o Palermo, ma anche Roma o Milano, abbiamo un rapporto tra valore di mercato e valore catastale sempre superiore a 2, se non a 3 come nel caso di Palermo.
Insomma, si dovrebbe fare una riforma del catasto decente, prima di pensare a tagliare le tasse sulla casa.


Comune
Numero unità abitative
A/1
A/2
A/3
A/4
A/5
A/6
A/7
A/8
A/9
A/11
Base imponibile media
Valore mercato abitazione usata
Mercato VS Catasto
Bologna
223.141
0,03
8,56
70,74
19,39
0,34
0,03
0,69
0,05
0,17
0,00
135.492
274.519,98
2,03
Firenze
201.831
1,42
42,63
37,82
14,20
2,31
0,02
1,18
0,41
0,02
0,00
135.696
319.884,08
2,36
Genova
326.946
1,28
16,83
58,60
19,81
2,56
0,00
0,76
0,15
0,02
0,00
128.844
222.655,27
1,73
Milano
795.120
0,36
15,81
61,83
18,20
3,29
0,06
0,42
0,01
0,02
0,00
123.714
299.851,96
2,42
Napoli
435.707
0,52
41,25
21,28
25,93
10,25
0,04
0,71
0,02
0,00
0,00
99.573
283.816,64
2,85
Padova
114.912
0,10
70,22
20,55
4,89
0,18
0,02
3,97
0,05
0,00
0,00
162.440
214.903,89
1,32
Palermo
321.810
0,05
35,35
32,89
20,88
4,98
0,14
5,66
0,04
0,00
0,00
60.928
192.775,96
3,16
Roma
1.452.287
0,22
52,89
24,90
13,93
0,79
0,03
7,20
0,03
0,01
0,01
176.317
356.712,56
2,02
Torino
500.569
0,42
20,20
67,20
9,65
1,77
0,01
0,62
0,11
0,00
0,00
130.125
205.338,89
1,58
Venezia
146.026
0,15
19,47
53,19
23,12
2,47
0,01
1,54
0,05
0,00
0,00
110.544
342.583,52
3,10
Verona
136.141
0,03
55,49
37,40
4,49
0,82
0,03
1,70
0,03
0,00
0,00
124.043
212.335,25
1,71

martedì 1 settembre 2015

Lavoro, i gufi e i dati

Non si tratta di fare i gufi. I dati dell'Istat diffusi oggi sono incontrovertibili quanto a numeri, e dunque è inutile dire "sì ma". Gli occupati sono aumentati, i disoccupati diminuiti. Se si va a vedere dentro quei numeri, scomponendoli, si può capire meglio di che tipo di lavori e di lavoratori si parla. Ma il dato è netto.

Certo, il Pd si affida a responsabili economici come Filippo Taddei che dice alla tv de L'Unità che i 235 mila italiani in più al lavoro rappresentano "un balzo che non ha molti precedenti negli anni recenti", e qui uno fatica a non mettersi a ridere. A meno di non intendere per anni recenti l'anno scorso o quello prima, di "balzi senza precedenti" come quello di oggi se ne possono contare anche di molto più significativi, per esempio negli anni 2006-2008. Quando l'economia andava bene anche se non c'erano le riforme del governo Renzi. Che sia quello soprattutto a far aumentare l'occupazione?

Taddei poi avrà visto i grafici e dunque dice che cresce di più l'occupazione a tempo indeterminato rispetto a quella a termine. Ma non dice che diminuisce l'occupazione delle persone con meno di 34 anni, e che ad aumentare è quella degli over 50. Meno male, tornano al lavoro quelli che l'avevano perso, sia chiaro.

Aumentano dopo tanti mesi negativi gli occupati nel settore delle costruzioni. Forse dunque l'abolizione della tassa sulla prima casa non serve per dare una spinta al settore.
Taddei non dice che aumentano gli occupati part time "involontari", ovvero quelli che hanno accettato un lavoro ad orario ridotto pur di lavorare. I lavoratori part time non sono pochi, circa 3 milioni e 300 mila. Oltre il 60 per cento di costoro è "involontario", ovvero preferirebbe un lavoro a tempo pieno.

Insomma: i dati sono positivi, speriamo che proseguano così, ma non si capisce perché uno dovrebbe fare gli inni dicendo viva viva viva il grande Renzi e il suo Jobs Act.