giovedì 29 giugno 2017

Il mio visto Almaviva a Tobruk

Dal Lybia Herald leggiamo che l'ambasciata italiana si appresa ad iniziare il rilascio di visti Schengen a Tobruk. Dovrebbe cominciare dal 9 luglio. Vi sembra strano? Lo ha annunciato via Twitter la stessa ambasciata
La notizia è confermata da un lancio di Agenzia Nova che cita il sottosegretario agli esteri Mario Giro. Giro dice che l'apertura di un ufficio visti a Tobruk è “molto importante e in questo momento è un modo per far vedere che l’Italia è presente in tutto il paese, non solo a Tripoli”. Sarebbe merito dell'ambasciatore Giuseppe Perrone che “è riuscito in questi ultimi tempi ad avere una buona interlocuzione anche a Tobruk, dove va continuamente e regolarmente”. Dunque preso "anche i cittadini dell'Est" libico, come ha annunciato anche Alfano, potranno presentare la domanda di visto per l'Italia attraverso questo sportello. Si informa anche che un visto di ingresso costa 590 dinari (circa 390 euro secondo il tasso di cambi odierno). Agenzia Nova scrive anche che "per la ricezione e consegna delle domande l’ambasciata si avvale della collaborazione della società di esternalizzazione dei servizi Almaviva Visa Service". 

Le parole di Alfano si ritrovano anche in un lancio di Ansamed.

Sarà che l'inglese è più essenziale, ma l'articolo del Libya Herald con meno parole spiega molto di più:
"Italy already has an honorary consul in the town and there is also an office of the outsourcing company Almaviva who would collect visa requests". 

I rimpatri dei "migranti economici"

Il Washington Post racconta oggi la storia di migliaia di rifugiati nigeriani rimpatriati a forza dal Camerun

Il quotidiano cita casi di altri Paesi come il Kenya e il Pakistan. Paesi poveri che spesso ospitano rifugiati in numero ben maggiore rispetto a quelli che devono sostenere i Paesi occidentali. La maggior parte dei profughi infatti finisce in campi nei Paesi vicini. Gli africani che arrivano in Europa sono la sparuta minoranza di quelli che scappano da guerra, fame, carestia, persecuzioni etniche o religiose, miseria. La gran parte della popolazione siriana scappata dalla guerra è finita in Libano o in Turchia, non certo in Europa. Solo che oggi anche questi Paesi cominciano ad avere problemi ad ospitarli. 

Dall'articolo del Washington Post: 

“Poorer countries hosting huge numbers of refugees for many years, such as Kenya, Pakistan and Turkey, have recently pushed back hundreds of thousands of refugees and asylum seekers,” dice Gerry Simpson, un esperto in migrazioni di Human Rights Watch. “They seem to be taking their lead from richer countries, such as Australia, the E.U. and the U.S., who are pulling out all the stops to limit refugee arrivals.”

Nell'articolo si citano anche le smentite del governo del Camerun, che nega rimpatri forzati.  Ma si citano anche i problemi di convivenza tra i rifugiati e la popolazione e l'attesa di maggior aiuto e assistenza da parte degli organismi internazionali, a partire dall'Onu. Anche in Africa, insomma, il tema è lo stesso che da noi.  

mercoledì 28 giugno 2017

"Guilty? I feel proud". Ecco un "trafficante di uomini".


Sul sito di Al Jazeera trovate un bellissimo servizio con intervista ad un uomo, Mohammed Lamine Janneh, che si autodefinisce "mediatore".

E' uno che organizza il viaggio dal Gambia all'Europa per tanti disperati (hopeless, li definisce) che tentano di arrivare in Europa. Non si considera un essere spregevole né pare sia considerato spregevole da quelli che si rivolgono a lui. Che anzi lo considerano un eroe.

Da quel che dice ha una rete di contatti che consentono ai suoi clienti di andare da Banjoul, la capitale del Gambia, all'Italia. Spesso non si fermano da noi, dice, perché preferiscono andare in Germania, in Svezia, Finlandia, Svezia. Si fa pagare 2000 dollari, e questi soldi gli servono per pagare i vari suoi uomini lungo il percorso: Mali, Niger, Libia. Il percorso in Libia è quello più pericoloso e capita che i suoi clienti vengano rapiti dagli arabi ("those arabs..."). Che, dice, chiedono altri soldi.

Lui dice che nessuno dei suoi clienti è morto in mare. Dice anche che i suoi clienti più anziani, arrivati in Europa prima, gli servono per aiutare i nuovi arrivati e che ha una discreta reputazione.
Vale la pena di guardarlo tutto. 


Immigrazione, sull'Europa che "si volta dall'altra parte"

Spieghiamo alcune cose sul tema immigrazione e sull'Europa che volgerebbe il suo sguardo altrove rispetto alla povera Italia invasa da migranti.

1) Le imbarcazioni che salvano gente in mare sbarcano nel porto più vicino (in un porto sicuro) secondo le regole internazionali. Non c'entra neppure l'Europa, c'entrano le regole del mare. I porti spagnoli e francesi sono molto più lontani di quelli italiani. L'alternativa è che le Ong non raccolgano i migranti dai barconi al largo della Libia. Il rischio è che al primo naufragio o al primo bambino morto su una spiaggia il sentiment collettivo diventerà: perché non li abbiamo salvati?

2) Nel settembre 2016 Parlamento Europeo e Consiglio adottarono un regolamento sulla nascita della Guardia Costiera Europea (REGULATION (EU) 2016/1624 OF THE EUROPEAN PARLIAMENT AND OF THE COUNCIL) che conteneva previsioni precise anche su questo argomento.
Per esempio:

"Where a Member State faces specific and disproportionate migratory challenges at particular areas of its external borders characterised by large, inward, mixed migratory flows the Member States should be able to rely on technical and operational reinforcements. This should be provided in hotspot areas by migration management support teams. These teams should be composed of experts to be deployed from Member States by the Agency and by EASO and from the Agency, Europol or other relevant Union agencies. The Agency should assist the Commission in the coordination among the different agencies on the ground. 

Member States should ensure that any authorities which are likely to receive applications for international protection such as the police, border guards, immigration authorities and personnel of detention facilities have the relevant information. They should also ensure that such authorities' personnel receive the necessary level of training which is appropriate to their tasks and responsibilities and instructions to inform applicants as to where and how applications for international protection may be lodged". 

3) All'Italia che lamenta "l'egoismo" dei Paesi europei che non si prenderebbero i migranti che noi vorremmo mandare vale la pena di ricordare i numeri. Al 7 giugno scorso - dati della Commissione Europea - noi abbiamo chiesto di ricollocare circa 12 mila persone  e di queste ne sono state accolte circa 6000.





L'ultima cifra che vedete è quella delle persone che ogni Stato dovrebbe accogliere. L'Italia, insomma, deve ancora chiedere ai Paesi  europei di accogliere. E' ancora in credito. Siamo lenti. Sono lenti gli altri a prenderli, siamo lenti noi a inviarglieli. E in ogni caso parliamo di 35 mila persone.
In Germania lo scorso anno sono state esaminate oltre 700 mila richieste di asilo. Supponiamo siano arrivati lì in molti modi, non solo perché chiamati dalla Merkel. Supponiamo che siano passati anche dall'Italia. Non ci risultano appelli della Germania all'Italia, nonostante la Siria sia molto più vicina.



giovedì 22 giugno 2017

Allarme immigrazione: dove ho già sentito questo discorso?

Non è la prima volta che l'Italia si trova a fronteggiare flussi migratori. Come ha giustamente scritto Mario Sechi nella sua List quotidiana, l'impennata dell'ultimo lustro dipende in gran parte dalla situazione libica, priva di un regime che controlli i flussi verso l'Europa da qualche annetto e in mano a bande criminali che probabilmente sono le stesse che in vario modo gestivano le armi prima, ma ora lo fanno l'una contro l'altra.

Anche se Sechi sa che i numeri da lui citati sono quelli dei "soccorsi in mare", sono quelli che servono al governo per spiegare che l'Europa gli deve concedere quasi cinque miliardi di manovra perché gestire gli stranieri costa. Che poi costi tanto, ho provato a confutarlo qui.

Insomma: come è noto in Italia si arriva anche via terra, come è successo per anni con il passaggio dai Balcani.

Comunque gli stranieri sono arrivati dal mare anche nei decenni scorsi.

Ma torniamo alla Libia. Che si possa occupare militarmente è difficile. Difficile anche ripristinare lo status quo ante. Inoltre i migranti economici e non che arrivano dalla Nigeria o dalla Costa d'Avorio troverebbero altre strade.

In ogni caso, per consolare quelli che sono molto preoccupati perché l'Italia è costretta da sola a fronteggiare ondate bibliche di gente, forse è utile vedere i soliti noiosi dati e rispolverare una crisi che ormai compie venti anni. Ovviamente non è la stessa cosa, si tratta di una situazione molto diversa. Ma è divertente vedere come politica e informazione in fondo ripetono schemi abbastanza consolidati.
Primo titolo:

Il quotidiano è La Stampa, che meritoriamente ha online tutto il suo archivio gratis che funziona una meraviglia. L'anno è il 1997, siamo ai primi di marzo, in Albania da mesi ci sono proteste sfociate in una vera e propria rivolta contro il governo di Sali Berisha. Arrivano in migliaia in nave e ovviamente arrivano in Italia. Al governo c'è Prodi. Che qualche giorno dopo ovviamente lancia il suo "monito".

Per la cronaca quell'anno - sono dati del ministero dell'Interno - sono state esaminate pochissime richieste di asilo rispetto a quanti albanesi entrarono nel nostro Paese. I dati delle richieste dal 1991 al 2016 li trovate qui e sono utili, anche per vedere come è cambiata la composizione di quelli che arrivano in Italia. Intanto nel 1997, l'anno della rivolta albanese, andò così:

Valeva la pena di appanicarsi tanto? Probabilmente molti furono rimandati indietro. Altri rimasero nel nostro Paese diventando irreperibili come succede alla maggior parte dei richiedenti asilo ma questo non ha mandato l'Italia in malora, pare.

Ma torniamo alla cronaca di quel marzo. Il panico aumenta, e aumentano i titoli. Il ministro dell'Interno di quel governo è Giorgio Napolitano. E naturalmente anche in quel caso il problema è che la gente arriva perché ci sono i "trafficanti di uomini" all'origine e i precursori di Buzzi a casa nostra. Venti anni fa il problema era sempre la parola "indagato", solo che non la pronunciavano Raggi e Salvini ma Sinisi e Napolitano.
Ultima immagine dal ventennio scorso:
Dini era ministro degli esteri.
Non inseriremo in questa cronistoria, che vuol essere solo un divertimento, quello che accadde quell'anno, qualche settimana dopo, ad una nave albanese carica di gente che voleva venire qui. Se volete, su Wikipedia si trova.

domenica 18 giugno 2017

Mali, qualche notizia

Due morti e una ventina di ostaggi forse liberi. 


Questo al momento il bilancio di un attacco terroristico in un luogo di vacanze nei pressi di Bamako, un resort a dieci chilometri dalla capitale del Mali. 

Il governo maliano parla esplicitamentedi attacco jihadista. I militari maliani e quelli della missione Onu Minusma stanno cercando i responsabili. Avrebbero liberato una ventina di ostaggi. Alcuni di loro in un pulmino si sono visti poco fa - le 22,30 ora italiana - sulle tv.

Gli assalitori avrebbero gridato Allah Akbar secondo le testimonianze.

Il presidente francese Macron aveva fatto proprio in Mali il suo primo viaggio fuori dall'Europa, ed era andato a trovare i soldati francesi stanziati a Gao, nel nord del Paese, zona particolarmente delicata per le incursioni di terroristi islamisti, vicini più ad Al Qaeda che all'Isis.

La presenza militare francese nell'intera area non è piccola: 4000 soldati sono impegnati tra Mali, Burkina Faso, Niger, Chad, Mauritania. Tra l'altro proprio in quella occasione Macron aveva invitato caldamente gli altri partner europei a impegnarsi nella lotta al terrorismo in Africa. Si era rivolto direttamente alla Germania ma parlava anche agli altri partner importanti nella Ue.

Che il terrorismo continui ad essere un problema lo aveva detto proprio due giorni fa la stessa missione Onu Minusma, attiva appunto dal 2013 nel Paese.

In Mali c'è un problema di separatismo interno in cui si è innestata la questione jihadista.Ci sono gruppi armati di varia tendenza. Ci sono accordi di pace firmati due anni fa e ancora lontani dal diventare operativi. Quando la Francia intervenne - si ricorderà la distruzione ad opera di terroristi jihadisti di importanti santuari a Timbuktu - sembrò facile.

Oggi, come scrive una analista di Human Rights Watch, si capisce che il pantano in Mali non si risolve solo con i militari. Anzi, i militari del governo legittimo sembrano peggiorare le cose. Si legge nell'articolo: “The jihadists speak a lot about corruption… how the authorities steal, torture and do bad things to us,” one elder said. “Honestly, they don’t need to try very hard to recruit the youth…”.

Il fatto che l'azione si avvenuta non nel tormentato nord ma nei pressi della capitale non è rassicurante. 



Sciopero, come se ne esce?

Con una intervista al Corriere della Sera il senatore Ichino spiega che nel settore dei trasporti sarebbe il caso di sottoporre la decisione di scioperare ad un voto con referendum dei lavoratori. Altrimenti, dice, l'astensione dal lavoro di una piccola minoranza blocca l'azienda e lede gravemente il diritto di tutti gli altri cittadini di muoversi.

Sarebbe ragionevole se non prescindesse da un dato: scioperare non è obbligatorio. Anzi, costa. Se si sciopera per otto ore si avranno in busta paga otto ore in meno di stipendio. Dunque se un sindacatino minoritario indice uno sciopero e poi aderisce allo sciopero una percentuale maggioritaria dei lavoratori, il problema rimane. L'adesione è il referendum, un referendum oneroso direi, visto che si paga per partecipare.

Tanto più che l'ultimo sciopero che tante polemiche ha suscitato era stato convocato rispettando tutte le norme che pure in materia di servizi pubblici essenziali non sono lasche. Era in regola e chi ha scioperato ha scioperato.

Nelle aziende di trasporto le cose sono poi complicate dall'organizzazione del lavoro. Visto che non è il caso che l'azienda chieda al lavoratore se il giorno dopo intende scioperare - perché questo comunque configurerebbe una qualche forma di pressione che la legge vieta (Ichino accenna al tema nella intervista e dice che in fondo si potrebbe fare, mettendola come se fosse un problema di privacy, ma il tema è complicato)  - l'unica cosa che le aziende possono fare è vedere come va la mattina.

Nel trasporto pubblico locale non ho memoria di uno sciopero in cui non siano stati semplicemente chiusi i varchi delle metropolitane, anche perché immagino che non sia facile far andare la metropolitana solo quando c'è qualcuno che guidi i convogli e fermarla quando il guidatore sciopera.

Per i bus, ogni tanto qualcuno passa e la gente si mette in coda alla fermata aspettando l'autista che non ha aderito.

Il problema di fondo comunque è il fatto che i lavoratori scioperano. Su questo un può essere d'accordo o no, si può pensare che facciano una stupidaggine e che la piattaforma sulla quale scioperavano è tutta sbagliata quando non inutilmente prolissa (dalla richiesta di rinazionalizzare i servizi di trasporto al no alla guerra imperialista. Chissà se i ferrotranvieri lo sapevano).

Ma alla fine non c'è modo né sarebbe giusto impedire scioperi anche su questo.

D'altra parte in moltissimi ambienti di lavoro i sindacati sono fortemente minoritari o comunque minoritari. Pensate ai giornalisti: hanno un unico sindacato di categoria e gli iscritti sono circa il 50 per cento tra i contrattualizzati. Eppure quando c'è sciopero dei giornalisti quasi tutti i giornali non escono, nonostante ci siano magari legioni di giornalisti pronti a lavorare.

Su una cosa però Ichino ha ragione: servono norme sulla rappresentanza e la rappresentatività per dare al mondo del lavoro regole un po' più stabili. Non a caso uno dei punti della ridondante piattaforma dei sindacati Slb dei trasporti cita con orrore l'accordo sulla rappresentanza del 2014 siglato tra Confindustria e Cgil, Cisl e Uil.

Solo che quell'accordo è fermo al palo. Come ha scritto qualche giorno fa Enrico Marro sul Corriere della Sera, è vero che ha facilitato tanti contratti di categoria. Ma è anche vero che è fermo anche perché se si tratta di misurare la rappresentatività il problema non è solo dei sindacatini autonomi e dei Cobas dei trasporti.
E' anche dei datori di lavoro e delle prerogative dei loro sindacati, Confindustria in testa.

Una legge sulla rappresentanza e la rappresentatività dei sindacati è tema di cui si parla da venti anni e ancora non vede la luce. Una ragione ci sarà, e se ne riparlerà al prossimo dibattito successivo al prossimo caos trasporti.


sabato 17 giugno 2017

Africa, tre notizie da La Stampa

Tre notizie da La Stampa. La prima è quella dell'incontro tra Merkel e Bergoglio, oggi. I due hanno parlato di Africa, anche perché la Germania ospiterà a luglio un G20 in cui si parlerà soprattutto del continente africano. Un buon segnale.

Prima ancora, tra i pochi politici italiani, è stato Giorgio Napolitano a parlare di Africa ed Europa. L'ex capo dello Stato proprio questa mattina, 17 giugno, firmava una riflessione sullo stesso quotidiano. Il titolo dice molto: il cantiere dell'Europa riparte dal fronte sud.

Napolitano scrive di una nuova attenzione dell'Europa verso l'Africa, specie grazie alla Germania. Segnale che testimonia "l’ampiezza di visione e la concretezza di approcci" evidenziata dalla Conferenza di Berlino per lo sviluppo del Continente africano. Napolitano è consapevole che a determinare questa spinta è sicuramente la "grande ondata migratoria, in particolare di provenienza africana, che ha investito i Paesi dell’Unione europea".

E tuttavia riconosce a Merkel il fatto di aver visto oltre l'emergenza migranti, a delle linee di fondo che vanno oltre l'emergenza: "l’alto tasso di natalità e la giovanissima età media della popolazione africana, specie nell’area sub-sahariana; la straordinaria ricchezza delle fonti di energia, in particolare quelle rinnovabili, di cui dispone il Continente; la possibilità di attrarre ingenti investimenti privati in Paesi grandi e piccoli dell’intera Africa".

Se si guardano i numeri dei migranti arrivati in Italia nei primi mesi di quest'anno, dei 60 mila giunti in Italia fino a fine maggio quasi 32 mila arrivano da Nigeria, Guinea, Senegal, Gambia, Costa d'Avorio, Marocco e Mali. Ovvero dall'Africa sahariana e subsahariana occidentale. Molti di questi passano per la Libia.

Proprio di Libia e di "Fronte Sud" della Nato parla la terza notizia da La Stampa. Si tratta di una interessante intervista a Claudio Graziano, capo di Stato maggiore della Difesa. Il titolo dell'intervista è "L'Italia sarà regista del piano di difesa nel cuore dell'Africa". Dove il fianco Sud è ormai una entità estesa, ben oltre il Mediterraneo meridionale che si intendeva venti anni fa. Graziano parla di penisola Arabica, Medio Oriente, Sahel, Corno d'Africa. Ovvero Nigeria ma anche Somalia e Kenya, Senegal, Mali, Marocco, Libia...

Che la Nato abbia già offerto il proprio impegno sul "Fianco Sud" non è neppure una notizia. Qualche settimana fa Gentiloni ne parlò con il segretario generale Nato Stoltenberg.

Ma anche Graziano sa che i problemi che l'Africa pone all'Europa non si risolvono solo con i militari: "La fascia del Sahel, che è anche la fascia della povertà, è senza dubbio la nuova frontiera del Fianco Sud. Ma i militari possono essere solo una parte delle risposte. Il processo problematico dell’Africa, probabilmente per colpa dell’Europa, è nato molti anni fa. Che in Africa ci fosse un problema, lo sapevamo. Che ci siano milioni di persone potenzialmente in movimento, sappiamo anche questo".

Le agenzie Onu con regolarità impressionante lanciano allarmi. Le persone che si muovono dai Paesi africani e tentano di arrivare in Europa possono morire in mare, come sappiamo, ma anche morire nel deserto, attraversando il Niger. Oppure finire nelle mani di organizzazioni criminali in Libia, come denunciavano proprio ieri la OIM e l'UNHCR.

Chissà che ad Amburgo l'agenda Africa non cominci ad assumere caratteristiche un po' meno declamatorie. Ma con una consapevolezza di fondo. 


PS
Ci aiuta ancora una volta una dichiarazione presa da La Stampa, in un articolo in cui si parla di una ipotetica "coalizione" Parigi-Roma-Berlino per le politiche sull'immigrazione. Al di là delle chiacchiere colpisce una frase dell'Ambasciatrice tedesca a Roma Susanne Wasum-Rainer: "Dobbiamo abituarci a 15 anni di migrazioni come quelle che stiamo vivendo". 

Appunto: la consapevolezza che non si può pensare di fermare il mare con qualche accordo e qualche decina di militari, e che occorre ragionare sul medio-lungo termine. 

Decoro, zingari, immigrati

C'è qualcosa di disturbante nel ciclico ritorno delle polemiche su temi come il decoro urbano, il valore della sicurezza che la sinistra dovrebbe fare proprio perché sono i poveri a chiederlo, i problemi delle grandi metropoli e dei loro cassonetti assediati da mendicanti e rom.

Forse è il già sentito, perché discorsi di questo tipo si fanno da decenni. Sono cresciuto in una borgata romana dove quelli venuti dalle Marche e dall'Abruzzo che si erano costruiti le loro casette abusive odiavano quelli delle case popolari, bollati come ergastolani e malavitosi. Questi odiavano gli stranieri, specie gli albanesi e i romeni. Questi ultimi odiavano gli zingari.

Oggi è tutto uguale. Se parli con un romeno medio oggi ti parlerà male dei rom, se parli con uno del Pd di periferia ti spiegherà che la sicurezza è importante perché le donne non escono più la sera e ti dirà che ci sono troppi immigrati.

C'è qualcosa di disturbante pure nella irritante filastrocca attribuita per sbaglio a Brecht, quella per cui a un certo punto andavano a prendere lui.

Il ministro Minniti ha raccontato in una intervista che una volta, ad una festa dell'Unità nel bolognese, molti anni fa, andò pronto a scodellare i dati sulla sicurezza e sull'immigrazione per dimostrare al popolo che non c'era nessuna ragione per temere di più, che i dati dicevano il contrario, che la criminalità diminuiva e la sicurezza aumentava.

Minniti ha raccontato che quella esperienza lo ha segnato perché lo riempirono di insulti, spiegandogli che loro avevano paura. E da lì Minniti e molti altri hanno capito che la percezione conta, che non basta illuministicamente andare nelle borgate a raccontare come stanno le cose. Mi disturba molto anche questo mantra perché i numeri sono numeri e la percezione, se percepisce una cazzata, è percezione di una cazzata. I reati non sono aumentati, la violenza nelle metropoli italiane è praticamente zero rispetto a tante altre metropoli europee per non parlare di quelle Usa. Se si sta stretti sugli autobus è perché ci sono pochi autobus, non troppi immigrati. Ché se a Roma che ha milioni di abitanti è un problema qualche migliaio di persone, fossero pure 10 mila, il problema è di Roma, non degli immigrati che ci arrivano.

C'è qualcosa di disturbante in tutte queste chiacchiere perché alla fine il modello per cui uno si sente tranquillo è quello che fa piazza pulita, nelle città, di tutto quello che rovina il quadro.

Gli ambulanti con le loro merci da due lire, le zingare sulla metropolitana, i suonatori di strumenti vari, i lavavetri, i barboni che stanno nelle stazioni, quelli che fanno i loro bisogni in mezzo alla strada, gli ecuadoregni che mangiano a Termini il giovedì, i sudamericani in genere con i loro dialetti, i romeni e gli ucraini che riempiono di beni di prima necessità i furgoncini che partono per i loro Paesi, le badanti ucraine che parlano a voce alta al telefono, i maghrebini che spacciano e rovinano il decoro di Piazza Vittorio a Roma, ché da quando ci abitano attori e vip pare sia diventata il Village. I turisti in ciavatte che si ubriacano a Campo de' Fiori, i ragazzetti che vanno in ciavatte a Ostia, gli universitari che vanno a ubriacarsi al Pigneto rovinando le notti della brava gente che ci abita.

Tutti rovinano il quadro. Hai presente quanto sarebbe bella Roma senza tutta questa gente?

Solo che il modello di città in cui uno si sente tranquillo è quello in cui tutto questo rumore di fondo non c'è, ci sono solo festival in cui le culture si contaminano e sono tutti contenti, negri ricchi che comprano negli orridi outlet, zingari ma solo tipo Bregovic o Kusturica, muniti di appositi strumenti musicali etnici e accompagnati da Moniche Bellucci o russi in vacanza che ogni tanto leggi sul giornale che hanno dato a Marina di Pietrasanta una mancia da 1000 euro.

Per gli altri i fogli di via, come li facevano i carabinieri negli anni 60, quando i cinquantenni poveri arrivavano dalle campagne vicine per lavorare nell'edilizia ma erano spesso alcolizzati e venivano interdetti dal territorio di Roma per giorni 30. Molti si accampavano alle porte di Roma in attesa, e poi rientravano, anche prima dei giorni 30. Penso facciano così anche quelli di oggi.

E penso che sia giusto così, perché c'è parecchio di disturbante nella politica che pensa di risolvere le cose con il decoro, le ripuliture e gli editti. Anche Parigi, Berlino, Londra e New York hanno i loro brutti panorami. Magari sono un po' decentrati, ma non vuol dire che non ci siano, come ormai chiunque sa. E allora? Allora appunto è giusto così e non c'è niente da dire,
E la grande polemica su una cosetta civile come lo ius soli la dice lunga su quel che giornali e tv sanno del mondo in cui vivono.