martedì 10 gennaio 2012

Quale uscita dalla crisi - La politica

La crisi economica in cui siamo immersi è iniziata a fine 2007 - Leggere questo giro di opinioni, che risalgono ad oltre 2 anni fa, può essere utile.

Uno dei dibattiti in corso tra i grandi guru dell'economia verte sulla seguente questione: la crisi avrà una forma a “U” o avrà una forma a “L”? Se sarà a “U”, dopo la caduta ci sarà una rapida e forte ripartenza verso l'alto. Ma se sciaguratamente dovesse essere a “L”, ci aspettano anni di piatta malinconia. Chi ha ragione? Gli ottimisti o i pessimisti? La lezione che viene dalle precedenti crisi (per lo più a “U”) o la recente, triste esperienza giapponese (a “L”)?
Nell'incertezza, abbiamo pensato di rendere un servizio ai nostri lettori suggerendo un pacchetto di idee (e ideuzze) che – comunque andrà – possono sempre tornare utili. Piccoli accorgimenti per risparmiare qualcosa, senza rinunciare ai nostri stili di vita: nel lavoro, nei viaggi, nell'alimentazione, nei trasporti, nel nostro tempo libero...Con un convincimento da miniaturisti: è nel piccolo che talvolta si nasconde la grandezza.

(Giuseppe Di Piazza sul Corriere Magazine del 2/4/2009)

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Uno spinello contro la crisi. Legalizzato e tassato potrebbe risanare il deficit.
...il governatore della California Arnold Schwarzenegger ha aperto un dibattito sulla legalizzazione e soprattutto sulla tassazione della marijuana: lasciando intendere che potrebbe essere un modo per tamponare lo spaventoso deficit del bilancio statale. Insomma, dopo tanti anni di guerra contro tutte le droghe, pesanti e leggere, gli Stati Uniti appaiono pronti a una riflessione critica, e magari anche a un cambiamento di rotta...
...il presidente ha altro a cui pensare (e non vuole prestare il fianco a nuovi attacchi della destra). Ma non c'è dubbio che il suo arrivo alla casa Bianca abbia dato coraggio a quanti si battono da tempo per la depenalizzazione delle droghe leggere...
A favorire il ripensamento negli States sono anche le violenze dei narcotrafficanti e le difficoltà dei conti pubblici. Da un lato la legalizzazione della marijuana frenerebbe gli astronomici guadagni dei cartelli, che oggi seminano il terrore in Messico. Da un altro, secondo uno studio di Jeffrey Miron, professore di economia all'università di Harvard, un nuovo corso porterebbe a un risparmio di 13 miliardi di dollari all'anno in spese di polizia e giudiziarie (40 per cento degli arresti sono per droghe leggere), e al tempo stesso farebbe incassare 7 miliardi all'anno di tasse. Altre ricerche forniscono un quadro ancora più allettante: c'è chi ipotizza un introito fiscale di 200 miliardi, sufficiente per finanziare la riforma sanitaria...

(Arturo Zampaglione sul supplemento “Affari & Finanza” di Repubblica del 22/6/2009)

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Questa crisi non è la manifestazione di un'ordinaria turbolenza quanto piuttosto un terremoto imprevisto dai governi e dai principali attori dell'economia e dalle conseguenze ancora largamente imprevedibili...non ha nulla che faccia pensare solo a un avvallamento temporaneo terminato il quale si tornerà ai livelli previsti. Il suo carattere strutturale ha fatto sì che, esplosa nella dimensione finanziaria, essa ha immediatamente e direttamente investito, con un'imponente massa d'urto, l'economia e la società in tutte le sue articolazioni.
Il suo carattere globale è stato messo in evidenza da come la crisi ha investito il mondo intero. Né si può trascurare che la crisi si manifesta, anche nei paesi a più alto tasso di sviluppo, all'interno di una coesione sociale già largamente compromessa...Parlare in queste condizioni, alla stessa stregua, della crisi come rischio e come opportunità diventa tutt'altro che innocente.
Per trasformare questa crisi in opportunità ci vorrebbero tante cose che oggi non ci sono, a partire dalla politica... il mercato chiede soccorso alla politica. L'ordine di grandezza dell'intervento pubblico è sconvolgente. L'intervento dello stato configura delle nazionalizzazioni di fatto in gangli strategici delle economie. Eppure non è il ritorno al keynesismo dei “30 anni gloriosi”, né, tanto meno, la prefigurazione di un'uscita della crisi verso un modello economico e sociale diverso...
La discussione su quale modello economico vada perseguito è il centro reale della contesa in questa crisi. Se la politica non lo vede, si condanna all'inutilità. La spesa pubblica è una necessità, ma quel che incide nella direzione di marcia è a cosa viene finalizzata, se o non si accompagna a una riqualificazione produttiva, a una conversione della produzione, dei servizi e della composizione dei consumi. L'intervento pubblico per salvare le banche e le imprese strategiche è una necessità, ma decide la sua natura la strada che intraprende, se cioè, contemporaneamente si modificano o no gli assetti proprietari; se s'introducono forme inedite di democratizzazione dell'economia.
Il rafforzamento e la generalizzazione degli ammortizzatori sociali vanno bene, ma decide della qualità dell'intervento pubblico su questo terreno il non lasciare mano libera sui licenziamenti, come una significativa redistribuzione a favore dei bassi redditi, come la restituzione ai lavoratori di un reale potere di contrattazione e di controllo sull'organizzazione del lavoro e sulle scelte dell'impresa.
Ha ragione Delors quando parla contro l'arroganza del “brevitempismo”. Riaprire, nella crisi, un discorso sulla programmazione e sullo spazio pubblico significherebbe mostrare di aver inteso la sfida della crisi, se è la crisi di un intero modello economico e sociale. L'Europa dovrebbe intenderlo prima e più degli altri.

(Fausto Bertinotti sul Sole-24 Ore del 15/5/2009)

Come uscirà il capitalismo da questa crisi? Da destra, da sinistra, dal basso, dall'alto? Le nuove regole che il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha delineato mercoledì non offrono una risposta chiara.
Non solo perché queste regole dovranno essere discusse, approvate, emendate (o stravolte?) dal Congresso, sotto la pressione delle potenti lobbies finanziarie, e quindi l'esito lo si vedrà solo ad autunno inoltrato. Ma perché il team economico della Casa Bianca, dal consigliere speciale Larry Summers al ministro del Tesoro Timothy Geithner, non sembra avere idee chiare su che cosa debba essere il “nuovo capitalismo”...
Gli organi di stampa del capitalismo mondiale, dal Financial Times al Wall Street Journal, si sono spesi in una moderata approvazione, quasi fiduciosi che il Congresso edulcori le eventuali asperità del piano. Ma già ieri i regolatori svizzeri chiedevano misure di controllo sulle proprie banche ben più severe di quelle proposte da Obama. Dal canto suo, la sinistra ha sfoderato le prevedibili critiche. Meno prevedibile che a farsene portavoce sia un pilastro dell'establishment finanziario dome il New York Times che ha subito tirato fuori la sproporzionata influenza dei lobbisti di Wall Street sulla stesura del piano...
Ma il problema più serio è che la riforma enunciata da Obama non sembra all'altezza della globalità della crisi: se anche non verrà stravolta, reintrodurrà - al massimo – strumenti di controllo e supervisione strettamente nazionali, quando è chiaro che per regolamentare una finanza globale servono strumenti globali. E' facile profezia prevedere che avverrà per la finanza quel che vige per il diritto internazionale: gli Stati Uniti hanno rifiutato la Corte internazionale dell'Aja per timore che statunitensi possano essere accusati di crimini di guerra. Nello stesso modo, rifiuteranno una Corte dell'Aja finanziaria che giudichi i reati speculativi commessi dai raiders Usa. Ma senza tale strumento, il “nuovo capitalismo” continuerà a giocare a rimpiattino planetario con le regole, gioco che da mezzo secolo tanto appassiona la speculazione mondiale.

(Marco D'Eramo sul Manifesto del 19/6/2009)

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“La riforma di Obama salverà i mercati finanziari”. Per il capo economista di Moody's il progetto supererà, anche se i tempi non saranno brevi, la forte opposizione delle lobby che si sono scatenate per bloccarlo.

(Titolo dell'intervista di Eugenio Occorsio sul supplemento “Affari & Finanza” di Repubblica del 22/6/2009)

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Sapevo che c'era una buona notizia. Ci doveva essere per forza un “silver lining”, come dicono gli americani, un filo d'argento in mezzo a questi nuvoloni gonfi di recessione, disoccupazione, precariati, fallimenti, casse integrazione, globalizzazione e apocalissi assortite.
Le grandi crisi economiche fanno bene alla salute.
Nella Università della North Carolina, una delle più serie e rispettabili fra le tremila e più università americane, un professore di economia si è dedicato, insieme con i colleghi della facoltà di medicina specialisti in epidemiologia, allo studio degli effetti delle crisi economiche sulla salute, probabilmente per trovare qualcosa da fare e salvarsi la cattedra in attesa che passi la bufera.
E' arrivato alla conclusione che la salute della popolazione in generale non soltanto non peggiora, ma migliora nei tempi – chiedo scusa per l'immagine fin troppo ovvia – di vacche magre.
“Contrariamente a quello che credevo quando cominciai la ricerca, ho osservato che il tasso di mortalità e quello di morbilità si riducono durante le fasi difficili dell'economia nazionale”. Dal 1970, da quando le statistiche e le ricerche demografiche si sono fatte più dettagliate, il professor Chris Ruhm ha notato che, quando le condizioni economiche peggiorano, diminuiscono le morti per incidenti stradali, per alcolismo, per ictus e per infarti e – questo è davvero sorprendente – anche per malattie infettive come l'influenza e le polmoniti.
Alcune spiegazioni sono ovvie. Milioni di persone, disperatamente a corto di soldi e senza lavoro, viaggiano meno in automobile, riducendo il traffico e quindi gli incidenti. Bevono meno liquori. Tagliano i consumi superflui come il fumo e i dolci. Restringono l'alimentazione all'indispensabile. E fanno, involontariamente, più attività fisica, battendo la città alla ricerca di un lavoro, facendo riparazioni “fai da te” in casa o, per le donne che hanno perduto il posto, ributtandosi nelle attività casalinghe, senza più baby sitter o colf o asili nido privati...nelle nostre società ipernutrite, ipervitaminizzate, ipermedicate e ipermotorizzate, il ritorno forzato a un'esistenza più spartana ha qualche aspetto positivo. I guai reali, i soldi che non ci sono, le bollette che si ammucchiano, i debiti che bussano, sostituiscono i guai immaginari, il “mal di vivere”, le frustrazioni, le insoddisfazioni, le alienazioni, come già aveva osservato Sigmund Freud quando fu arruolato come ufficiale medico al fronte con le truppe austriache nella Prima guerra mondiale. E scrisse stupito alla sorella che nelle trincee e fra le truppe che rischiavano la vita ogni minuto scomparivano le nevrosi.
Presumo, senza voler contraddire l'autorevole economista e la sua èquipe di ricercatori alla North Carolina University, che questo apparente paradosso della crisi che fa bene alla salute abbia un limite e se le cose si aggravano e si prolungano oltre misura la cura dimagrante riporti alla fame e al disastro. Anche i dati sulle malattie forse significano soltanto che la gente va meno dal medico, in una nazione dove non esiste un sistema sanitario pubblico, e si affida alla “virtus sanatrix naturae”, alla guarigione naturale...

(Vittorio Zucconi su “D-La Repubblica delle Donne” di Repubblica del 31/1/2009)

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