martedì 11 ottobre 2011

Crisi, fisco, condono, idee per la crisi

Crisi e idee

Già nel maggio 2005 l'Europa sapeva della grande crisi. Nella primavera di tre anni fa, un vertice europeo informale approvò un memorandum che simulava una supercrisi finanziaria.
...Il documento, facilmente reperibile sui siti istituzionali della Ue, si intitolava “Memorandum d'intesa sulla cooperazione tra supervisori bancari, banche centrali e ministri delle Finanze dell'Unione Europea su situazioni di crisi finanziaria”...Nonostante si sottolineasse che questo atto non appariva vincolante per l'autonomia di intervento dei vari paesi in caso di crisi, lo scopo dell'operazione era chiaro. Ovvero, il sistema è ormai globale e nessuno di noi è un'isola.
Questo nel maggio 2005. All'epoca la notizia non suscitò particolare scalpore anche se ambienti londinesi non presero particolarmente bene la excusatio non petita del presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, affannatosi a tranquillizzare i cronisti sul fatto che l'accordo non significasse “la presenza concreta di minacce reali in tal senso a medio termine”. Bluffava o lo pensava davvero?...
A rendere il tutto ancora più credibile – lasciando in bocca un sapore di incombenza che le autorità invece negavano, Trichet in testa – fu poi la dinamica scelta per il piano di simulazione della crisi: stando agli studi dell'epoca, infatti, sarebbe stato il collasso di una grande banca operante a livello continentale a far scatenare l'effetto domino generale...

(Mauro Bottarelli sul Riformista del 31/10/2008)

* * * * * * In questa crisi le misure finanziarie sono insufficienti. La ripresa verrà quando inventeremo prodotti adatti alle esigenze del presente e del futuro. L'Italia del dopoguerra ha saputo farlo, pensiamo solo all'invenzione della Vespa, della Lambretta, della Cinquecento, della plastica. E' l'entusiasmo, la voglia di vivere, di fare, di riuscire che crea.

(Francesco Alberoni sul Corriere della sera dell'8/12/2008)

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Stanchi di essere sfruttati, i pescatori si mettono in proprio e vendono il pesce saltando ogni intermediario. In pochi giorni è un successo che scatena l'ira di pescherie e ristoranti. Ma i triestini tornano a mangiare i frutti del mare: a prezzo stracciato.
...E' questa la rivoluzione messa in atto da un mese a Trieste, che trova in Guido Doz, presidente regionale dell'Agci pesca, il suo “conducator”. Pescatore o meglio ancora coordinatore di una cooperativa con pescherecci, stufo di passare per le maglie della filiera, preoccupato per la crisi del mercato (tre cooperative di pescatori chiuse in un anno), stanco di dover pietire per incassare più di 0,70 euro a chilo per alici...vendute a ben altri prezzi in pescheria, ha deciso di alzare la testa.
...Così ha chiesto in affitto al Comune di Trieste una pescheria dismessa in Piazzetta Belvedere e l'autorizzazione a installare un camion-banco-frigo in una delle piazze più dimenticate, ma più centrali, della città, piazza Ponterosso.
La guerra del pesce nasce così. Con una giunta di centrodestra che accetta, un uomo di destra (Doz) che si fa paladino della politica economica della destra sociale e con altri che di destra non sono proprio, come Salvatore Pugliese, rappresentante di Legacoop, che coordina il banco di Campo Belvedere. Questo è il “radicamento sul territorio” che in tanti ben più in alto teorizzano, senza il coraggio di farlo...
Tutto è controllato dal servizio sanitario, c'è il cartellino con origine e quant'altro, esattamente tutto ciò che c'è nelle altre 54 pescherie della città. Ma a prezzi stracciati...a breve apriranno altri punti vendita e altri “camion-frigo” da dislocare nei mercati rionali. Oltre a un luogo dove prepararlo per venderlo già cotto...
A Trieste oggi il pesce costa meno del pane. E il pensionato con la minima, se ne ha voglia, può cenare a branzino...e poi valorizzano anche le colture locali di mitili. In piazza Ponterosso qualche giorno vendiamo dieci quintali di pedoci, mentre nelle pescherie si vendono mitili che vengono dalla Spagna...

(Francesca Longo sul Manifesto del 6/12/2008)

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Ogni giorno dagli scaffali dei supermercati italiani finisce nella pattumiera il cibo sufficiente a preparare colazione, pranzo e cena per 625.000 persone...Uno spreco inaudito che per di più ha un costo: il prezzo per lo smaltimento e il trasporto dei rifiuti, le ore di lavoro dei dipendenti che fanno pulizia, la tassa della spazzatura. Qualcuno però ha deciso di fermare questo meccanismo infernale: un professore di Bologna, insieme ai suoi studenti, ha messo in piedi Last Minute Food, una associazione che recupera il cibo buttato dalla catena della grande distribuzione per renderlo disponibile alla rete delle associazioni di volontariato.
Parte da qui “Non sprecare”, il libro che Antonio Galdo, giornalista, ha appena pubblicato con Einaudi (pp.170, euro 16,00), ma che non si ferma al problema del cibo...
“...Così sono andato a cercare le storie di persone che non solo riescono a non sprecare, ma anche a fare dello spreco una risorsa. Persone che si muovono in luoghi distanti dalla politica, ma che la politica, così povera di progetti e utopie, farebbe bene a cercare e a capire...”

(Cristiana Pulcinelli su L'Unità del 3/12/2008)

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Un boom verde. L'energia del vento fa ricca la Spagna. Dal settore 3 miliardi annui e 38mila posti. Superati i megawatt delle 8 centrali atomiche.

(Titolo dell'articolo di Gian Antonio Orighi su La Stampa del 30/12/2008)

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L'eco-edificio “paga”. I green building continuano ad avere elevati tassi di occupazione.
...Tra le varie tipologie di edifici commerciali, quella che comunque riuscirà a reggere l'impatto della crisi, conservando maggiore commerciabilità, è quella degli uffici caratterizzati da standard superiori e ad elevata efficienza energetica. Anche la redditività di questi immobili sembra destinata a rimanere più elevata. Secondo un recente studio, infatti, “gli utilizzatori di spazi per l'impresa sono disposti a pagare affitti superiori al 10% dell'affitto medio di mercato per un green building”. La diffusione di edifici a elevata efficienza energetica nel prossimo decennio – concludono i ricercatori di Nomisma – potrebbe determinare un risparmio nei consumi pari circa al 18 per cento”...

(Emilio Bonicelli sul Sole-24Ore del 15/11/2008)

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Che la congiuntura sia difficile non lo si può negare, ma neppure che ci siano modi molto diversi di affrontarla. O che ci siano settori che vanno controcorrente. E' così che si spiega la storia di un gruppo di lavoratori trentini che piuttosto di rimanere a casa in mobilità e vedere fallire l'azienda in cui lavoravano, hanno costituito una cooperativa e la hanno rilevata...
“Se abbiamo fatto la scelta giusta, sarà solo il mercato a dirlo”, sostengono i lavoratori della Nicolini spa, storica azienda trentina di mobili per bagno...
Il progetto è stato finanziato nella fase iniziale con i risparmi dei lavoratori e con un finanziamento della locale cassa rurale.

(Cristina Casadei sul Sole-24 Ore del 31/12/2008)


100 miliardi, pari a 7 punti di pil. E' quanto brucia in un anno l'evasione fiscale in Italia. Ma tra il 2006 e il 2007 un quinto delle “mancate entrate” è stato recuperato. E' il dato saliente del Rapporto al parlamento redatto dal viceministro dell'economia Vincenzo Visco. Finita la stagione dei condoni, i 23 miliardi di maggiori incassi sono dovuti sia all'incremento degli accertamenti che all'adeguamento “spontaneo” da parte dei contribuenti.
...Il sommerso fiscale italiano supera almeno del 60% la media dei paesi dell'Ocse.
...Le grandi imprese evadono di più in valore assoluto, ma in percentuale le piccole e medie si comportano peggio: occultano il 55% in più di base imponibile delle grandi. Le differenze tra Nord e Sud sono “minime”, sostiene il rapporto, rompendo lo stereotipo secondo cui al Sud si evade più che al Nord.

(Sul Manifesto del 24/10/2007)

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Anche i rigoristi vogliono spendere, qualche volta. La lotta all'evasione richiede risorse, protesta il viceministro dell'Economia Visco, che nella lunga notte della legge finanziaria ha subito anche lui un taglio. Voleva una deroga al blocco delle assunzioni per Agenzia delle Entrate e Agenzia delle Dogane, e gliel'hanno cancellata. Inoltre, per dimostrare che non ce l'aveva con la Guardia di Finanza, aveva chiesto 80 milioni per accrescerne l'efficienza”, e non li ha avuti...Ieri l'ha detto in tv, che quel taglio non gli va bene: “Se la si vuole fare, la lotta all'evasione, bisogna potenziare gli uffici”... Fino adesso, spiega Visco, “questo governo ha potuto recuperare evasione fiscale grazie al cambiamento di linea politica rispetto al governo precedente, perchè i contribuenti hanno capito che facevamo sul serio. C'è stata una maggiore adesione spontanea di cui abbiamo visto i risultati”. Ma d'ora in poi, per continuare ad accrescere il gettito, “occorre che l'amministrazione del fisco si rafforzi, assumendo giovani preparati”; altrimenti, ci si fermerà qui.
Soprattutto nel Nord abbiamo bisogno di nuovi impiegati, precisano all'Agenzia delle Entrate. Il loro è uno dei rari casi nell'amministrazione pubblica, dicono, dove la produttività si può misurare: tanti nuovi assunti, tanto gettito recuperato. Ogni nuovo assunto può rendere allo Stato parecchie volte il suo stipendio...

(Stefano Lepri su La Stampa del 1/10/2007)

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All'Agenzia delle entrate i dipendenti entrano poco. L'ufficio che scova gli evasori ha un problema di evasione dal lavoro: 1800 “malati” per più di 50 giorni di fila. Ora li hanno messi in riga. E i risultati si vedono: nel 2007 un boom di accertamenti. Grazie a nuove tecniche. E a 36mila lettere anonime.
Colpire, prima di tutto, l'evasione in casa propria. Il direttore dell'Agenzia delle entrate, Massimo Romano, ha fatto due conti e ha scoperto che tra i suoi 30.335 dipendenti qualcosa non va: troppe assenze per malattia (1800 sono stati assenti per più di 50 giorni di fila), troppi distacchi sindacali (magari per cambiare sede), troppi permessi per assistere i parenti non autosufficienti. Risultato? Un'operazione “trasparenza”, di controlli e verifiche sul personale, e un appello al ministero del Tesoro (da cui l'Agenzia dipende), perchè vari norme più efficaci e rapide per colpire gli scansafatiche e per licenziare i dipendenti corrotti. Del resto, l'assenteismo è tutto lavoro sottratto alla lotta all'evasione. Finita l'epoca dei condoni targati Tremonti, in cui il personale era soprattutto occupato a gestire le richieste di sanatoria, oggi l'Agenzia delle Entrate impiega per la caccia all'evasione più della metà delle sue risorse interne: si punta sulle donne (il 52% del personale) e, in generale, sui giovani laureati in economia e in legge.
A Roma, nelle stanze di vetro di via Cristoforo Colombo dove c'è la sede centrale (altre 386 sono sparse per l'Italia), il lavoro davanti al computer è a ciclo continuo. Spesso si fanno le ore piccole...Anche se servirebbe altro personale (la richiesta è di 4600 assunzioni nel prossimo triennio), i risultati di questa nuova stagione della lotta all'evasione sono da record: il 95 per cento dei controlli effettuati va a segno (almeno un'infrazione, cioè, viene rilevata).
Un dato che fa impressione, ma si deve tenere conto che si tratta di verifiche mirate, mai casuali...Le informazioni per stanare gli evasori ci sono: la scommessa vera è riuscire a metterle in relazione tra loro...
Se informatica e statistica sono gli strumenti principali di questo lavoro, capita che le verifiche partano dalle segnalazioni sul vicino di casa. Un fenomeno non tanto marginale: sono circa 36mila le lettere di “delazione” spedite ogni anno all'Agenzia (da mittenti sempre anonimi). Quando le denunce sono generiche non vengono prese in considerazione, ma se i dettagli sono precisi il personale dell'Agenzia inizia a compiere le verifiche... Spesso, poi, collegata con l'evasione c'è la criminalità organizzata e il supporto della Guardia di Finanza è fondamentale, data la natura amministrativa dell'Agenzia e quella militare delle Fiamme Gialle....

(Marco Romani sul Venerdì di Repubblica del 5/10/2007)

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In Sicilia il record delle “lunghe degenze”.
Tempra di ferro in Trentino, cagionevoli in Sicilia. Sarà colpa del sole ma nell'isola i dipendenti dell'Agenzia delle entrate si ammalano ogni anno per un numero di giorni (sedici) doppio rispetto ai colleghi che vivono sotto le Alpi (otto). Ma dalla relazione sul 2006 scritta dal direttore, Massimo Romano, emerge una doppia realtà: a fronte di 1800 dipendenti che sono stati lontani dalla loro scrivania per oltre cinquanta giorni, più di un terzo dei lavoratori (il 34 per cento, pari a 12.500 persone) non ha portato nemmeno un certificato medico. Non deve stupire, poi, che il 53 per cento delle assenze superi i 15 giorni: sotto questo numero, strano ma vero, al dipendente viene sottratta dallo stipendio un'indennità di 230 euro (che altrimenti non verrebbe toccata).Questo meccanismo, inventato per stoppare il microassenteismo (quello di due o tre giorni), ha finito con il moltiplicare le “lunghe degenze”... è come se ogni anno l'Agenzia lavorasse con 370 persone di meno.

(Marco Romani sul Venerdì di Repubblica del 5/10/2007)

giovedì 22 settembre 2011

Questione di genere


“Cerchiamo hostess trans”. Pioggia di candidature.
La PC Air, in servizio da aprile, è la prima ad assumere “ladyboy” per fare le assistenti di volo. Non serve alcuna operazione: solo gentilezza e conoscere le lingue.
(Sul Freepress “City” del 31/1/2011)

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Era stato privato della patente perché gay. La notizia aveva fatto il giro del mondo e, a distanza di quasi dieci anni, i ministeri della Difesa e dei Trasporti sono stati condannati in secondo grado a versargli 20 mila euro come risarcimento. Danilo Giuffrida, il protagonista di questa storia, oggi ha 28 anni, alla visita di leva aveva rivelato di essere omosessuale, l’ospedale militare informò la Motorizzazione civile che il giovane non era in possesso dei “requisiti psicofisici richiesti” e la patente di guida fu sospesa in attesa di una revisione all’idoneità. Adesso la Corte d’appello civile di Catania ha confermato la sentenza di primo grado emessa nel luglio del 2008, ma ha ridotto di 80 mila euro l’indennizzo inizialmente fissato in 100 mila euro.
(Su La Repubblica dell’11/4/2011)

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Il sesso delle medicine.
La chiamano “cecità di genere”. E consiste nel non saper riconoscere – o nel non voler vedere – le differenze tra uomini e donne, quando si tratta di diagnosticare una malattia o di prescrivere un farmaco. Ne parla il libro “Farmacologia di genere” (…). Spiegano gli autori: “La maggior parte della ricerca alla base delle strategie mediche è stata condotta su uomini e su animali maschi”. Salvo poi trasferire alle donne i risultati delle ricerche, come se queste fossero “piccoli uomini”. E invece i due sessi non sono uguali. Ciò che è efficace e sicuro per un organismo maschile, può esserlo meno – o non esserlo affatto – per uno femminile. Così scopriamo che i farmaci antinfiammatori non steroidei (Fans), tanto utilizzati dalle donne, molto raramente sono stati studiati su di loro in modo specifico. O leggiamo che alcuni antidepressivi (gli Ssri) provocano reazioni avverse più frequenti e più gravi nelle signore, mentre i maschi rispondono meglio ai farmaci triciclici. E così via. …
Malattie ritenute femminili (emicrania, depressione, osteoporosi) non sono state studiate bene negli uomini. Per offrire la migliore cura a entrambi i generi, le diversità dovrebbero essere integrate nelle politiche di cura e di tutela della salute.
(Elisa Manacorda su L’Espresso del 18/11/2010)

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Invertiti, avvertiti, convertiti, divertiti, pervertiti, riveriti, sovvertiti di tutta Italia, unitevi! Anzi uniamoci contro l’esimio barone Roberto De Mattei che sulle onde di Radio Maria attribuisce la caduta dell’impero romano all’ “effeminatezza degli invertiti” e teme per l’Italia “l’invasione dell’Islam”…Uniamoci noi per liberarci di quest’inquietante macchietta, che non è un radioimbonitore qualunque, ma è il vicepresidente del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr)…
(Marco D’Eramo sul Manifesto del 12/4/2010)

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La Regione Piemonte non tolga il proprio logo dal Festival del Cinema Gay (26ma edizione di Torino Glbt Film Festival – da Sodoma a Hollywood, dal 28 aprile al 4 maggio): è quanto ha chiesto il Pd piemontese attraverso una interrogazione del consigliere Nino Boeti. “Vogliamo sapere – ha detto – se è vero che l’assessore regionale alla cultura del Piemonte, Michele Coppola, ha intenzione di negare il logo al festival. Qualcosa che andrebbe in controtendenza con l’atteggiamento sempre avuto dalla regione Piemonte, indipendentemente dal colore politico delle giunte che si sono succedute. Un atteggiamento rispettoso dei diritti di tutti, che ha fatto dell’accoglienza una delle ragioni del suo sviluppo. Emergerebbe così una concezione discriminatoria nei confronti dei gay, per lo meno sul piano della legittimità culturale, da parte dell’uomo che il centrodestra vorrebbe eleggere sindaco di Torino”
(Alberto Caerio sul Manifesto del 31/3/2011)

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Obama sceglie un gay per il cerimoniale. Nel 1993, Jeremy Bernard manifestava in difesa dei diritti degli omosessuali davanti alla Casa Bianca.Ora ci entrerà dentro, e con tutti gli onori, per ricoprire un ruolo chiave accanto al Presidente…una delle cariche più delicate della sua amministrazione: quella di segretario particolare. Il primo uomo mai scelto per quella posizione. Ma anche il primo dichiaratamente gay…
Esultano gli attivisti gay per l’ennesima svolta di Obama che, in tre mesi, ha fatto cancellare il bando nell’esercito, ha sconfessato la legge secondo la quale solo quello tra uomo e donna è matrimonio, e ha nominato il primo funzionario omosex della Casa Bianca.
(Angelo Aquaro sul Venerdì di Repubblica dell’11/3/2011)

mercoledì 21 settembre 2011

Eterno oppio dei popoli


Come il Pangloss di Voltaire che tesseva l’elogio del terremoto di Lisbona coi parenti delle vittime, Roberto De Mattei ha spiegato ai microfoni di Radio Maria che lo tsunami giapponese “è stata un’esigenza della giustizia di Dio” e che “per i bimbi innocenti morti nella catastrofe accanto ai colpevoli” (ma colpevoli di che?) si è trattato di “un battesimo di sofferenza con cui Dio ha inteso purificare le loro anime”. Ora, Pangloss era un personaggio letterario. Ma De Mattei esiste davvero ed è pure il vicepresidente del Cnr, tempio e motore della ricerca scientifica…
Ma in quale Paese l’autore di simili affermazioni può restare ai vertici della ricerca finanziata dal denaro pubblico, senza che si muova il governo o almeno la Croce Rossa?…in Italia, naturalmente. Dove due anni fa il vicepresidente del Cnr organizzò, a spese del Cnr, un convegno contro Darwin…
(“Buongiorno” di Massimo Gramellini su La Stampa del 26/3/2011)

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“L’educazione sessuale minaccia la libertà religiosa”. Monito del papa ai governi Ue.
Benedetto XVI è tornato sul tema della libertà religiosa, precisando che il pericolo non viene solo dalle persecuzioni: “un’altra minaccia” c’è in quei paesi europei dove “è imposta la partecipazione a corsi di educazione sessuale o civile che trasmettono concezioni della persona e della vita presunte neutre, ma che in realtà riflettono un’antropologia contraria alla fede e alla retta ragione”…
(Carlo Marroni sul Sole-24 Ore dell’11/1/2011)

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“Sì ai contraccettivi”. Ritirato catechismo.
La distribuzione in Italia di Youcat, catechismo della Chiesa cattolica per i giovani, sarebbe stata sospesa per un errore di traduzione. Il testo darebbe l’impressione che alle coppie sia permesso l’uso di metodi contraccettivi.
(Sul freepress romano City del 13/4/2011)

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Secondo un sondaggio condotto su 900 insegnanti statunitensi delle scuole superiori, solo il 28 per cento dei docenti di biologia crede nell’evoluzionismo. Il 13 per cento difende esplicitamente la teoria creazionista e un cauto 60 per cento evita di schierarsi. “E’ un fallimento enorme nel campo dell’insegnamento scientifico”, commenta un insegnante intervistato dal New York Times.
(Su Internazionale dell’11/2/2011)

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Karachi è piena di grottesche contraddizioni. E’ la capitale finanziaria, sede di impianti petrolchimici, acciaierie, aziende pubblicitarie e high-tech, più aperta per costumi e religione, con una classe media istruita, ma è anche una città di slum abbandonati dallo Stato e in una delle sue scuole uno studente di 17 anni è stato arrestato per aver scritto “parole blasfeme” in un compito in classe: rischia la pena di morte…
(Viviana Mazza sul supplemento “Io donna” del Corriere della Sera del 19/2/2011)

Carcere e lavoro

Argomenti si propone di offrire, sui temi in discussione ogni giorno, qualcosa di più di un titolo. Si propone di offrire riflessioni e spunti per riflettere, di andare un po' più a fondo delle cose. Non sarà più di moda andare "alla radice", come diceva un filosofo. Ma almeno un po' più a fondo della superficie, questo ci sembra doveroso. 




Oltre il danno la beffa. Alcuni ex detenuti del Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di Ponte Galeria a Roma dopo essere stati impiegati come lavoranti in carcere non hanno potuto riscuotere il giusto compenso economico in quanto clandestini. Un assurdo caso di burocrazia all’italiana. A denunciare l’ingiustizia è stato Angiolo Marroni, il garante dei detenuti del Lazio. “In carcere hanno lavorato regolarmente e devono essere retribuiti – ha fatto sapere Marroni in una nota -. Scontata la pena, sono stati considerati clandestini e quindi trasferiti al Cie di Pone Galeria in attesa di espulsione. Ma lo status di clandestino non consente loro di incassare i compensi per il lavoro svolto in carcere”. Il paradosso consiste nel fatto che la direzione dell’Istituto di provenienza deve inviare all’ex lavorante un assegno non trasferibile da ritirare all’ufficio postale di Ponte Galeria. Piccolo particolare: l’assegno non può essere riscosso dall’immigrato, impossibilitato a uscire liberamente dal Cie. E che soprattutto è sprovvisto di un documento di identità…
(Su Left del 27/8/2010)

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Fateci restare in carcere: la libertà ci toglie lavoro.
Giuseppe, Salim, Anna non ne vogliono sapere di tornare a casa. Preferiscono restare in galera. Non è uno scherzo, accade a Bollate, carcere alla periferia di Milano immune da sovraffollamento, celle aperte fino a sera, con 1.110 detenuti, metà occupati a lavorare, dentro o fuori il muro di cinta, metà impegnati nello studio, in attività culturali, sportive, giuridiche, musicali. Giuseppe, Salim e Anna sono 3 dei 35 “fortunati” che, grazie alla legge “svuota carceri” da oggi in vigore, potrebbero consumare il resto della condanna in “detenzione domiciliare”. A casa… Eppure, vogliono restare “dentro”. E così altri 9 detenuti. Possibile? A Bollate – spiegano – hanno un lavoro ben pagato, sono indipendenti, aiutano la famiglia, misurano la propria capacità di fare. Ed escono in permesso. Giuseppe fa l’operatore ecologico a 850 euro al mese; Salim tratta l’amianto e guadagna 500 euro; Anna lavora in sartoria. Con la detenzione domiciliare perderanno lavoro, soldi e possibilità di uscire, se non da evasi. Meglio Bollate, dicono. Paradossi da galera, di quella che funziona.
( Donatella Stasio sul Sole-24 Ore del 16/12/2010)

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Dai penitenziari romani si può uscire in libera pedalata. Dieci detenuti, alla guida di otto risciò a pedalata assistita, portano a spasso i turisti per le strade del centro storico. I veicoli a tre ruote (ognuno costa circa 6.500 euro) sono stati comprati dal ministero della Giustizia. L’obiettivo? Far scontare la pena all’esterno del carcere, favorendo il reinserimento lavorativo dei detenuti.
Il servizio, gestito dalla cooperativa Blow Up, per ora è gratuito. “Finita la fase di sperimentazione” dice Corrado Scimia di Blow Up “il Comune stabilirà regole e orari. Quando le corse si pagheranno, i ciclotaxi garantiranno un reddito agli autisti”.
(Alberto Fiorillo sul Venerdì di Repubblica dell’8/10/2010)

giovedì 8 settembre 2011

Pubblica (D)Istruzione Italiana




Il riassunto migliore lo fa Jie, ultimo banco a sinistra: “Cos'è cambiato? In prima avevamo le ore di informatica, adesso non ce le abbiamo più”. Terza D della scuola media Alberto Manzi di Roma...
La nostra ricognizione, prima di arrivare nella capitale, parte da Reggio Emilia. E' qui che insegna il maestro Giuseppe Caliceti, autore del recentissimo “Una scuola da rifare”. La sua critica alla riforma non potrebbe essere più radicale. “Prima avevamo la scuola primaria migliore d'Europa” dice, “oggi è la tredicesima, stando all'Ocse”. A sentir lui il ministro, tra bugie, mezze verità e cortine fumogene (il grembiule, il 7 in condotta, etc.), avrebbe preparato il terreno per lo smantellamento. “Quando dice che gli insegnanti costano troppo non ricorda che da noi, a differenza degli altri Paesi, anche quelli di sostegno ricadono sul conto dell'Istruzione. E ciò falsa ogni confronto. Ha poi tolto soldi alle scuole pubbliche, aumentandoli alle private, senza però ricordare che, sempre per l'Ocse, in media i loro studenti sono meno preparati degli altri. Alla faccia del merito...” Ciò che gli va giù meno di tutto, mentre parliamo in una libreria così bella e accogliente che sembra di stare in Scandinavia, è l'aver sperperato un patrimonio ideale, tra i pochi articoli culturali da esportazione rimasti. E per farmi capire meglio mi porta in visita a Reggio Children, la matrice di quegli asili d'eccellenza che nel '91 si erano guadagnati la copertina di Newsweek sulle “10 scuole migliori del mondo”. 

Negli ex-stabilimenti dei formaggi Locatelli, oltre alle aule di varie classi delle materne, ci sono mostre e seminari su quella “pedagogia popolare” che dappertutto ci invidiano. E' un giorno come un altro e in pellegrinaggio c'è una comitiva di spagnoli e una di rumeni. Ogni anno passano di qui circa 20 mila persone, “una delle fonti di turismo più significative della città” ricorda l'organizzatrice Sara Arrigoni che si inorgoglisce per la collaborazione con Harvard e si deprime per i più rari rapporti con gli atenei italiani...E' qui che Caliceti voleva arrivare: “mentre le migliori università americane vengono a ispirarsi a quel filone che va da Don Milani a Gianni Rodari a Loris Malaguzzi, che ci hanno insegnato a mettere la scuola al centro della società e il bambino al centro della scuola, noi adottiamo il modello anglosasssone, con i test Invalsi, le crocette, gli insegnanti-manager. Andiamo verso quelle charter school, private finanziate dal pubblico, che si sono rivelate una catastrofe per stessa ammissione del sindaco di New York che le aveva volute. E' una follia! E non dica il governo che tutto l'occidente taglia perché la scure dell'America di Obama e della Germania della Merkel si è abbattuta su ogni settore tranne l'istruzione Mentre noi preferiamo aumentare il bilancio della Difesa. E' sempre una questione di scelte”...

(Riccardo Staglianò sul “Venerdì” di Repubblica del 27/5/2011)

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Non si arresta l'offensiva nei confronti della scuola pubblica italiana. Quello che si sviluppa in maniera sempre più articolata, scientifica, è un vero e proprio massacro delle scuole, impoverite di tutto, nel tentativo di espellere non solo la presenza fisica dei professori, ma la possibilità e la capacità di continuare a essere luogo dove si formano i cittadini. Compito affidato alla scuola dalla Costituzione, che è il vero obiettivo di questo lavorìo di macelleria scolastica...Si taglia non l'inutile, come ebbe a dire la Gelmini, ma il necessario. Il pane per crescere...

(Alba Sasso su “Il Manifesto” del 22/6/2011)

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Aiuti agli atenei privati: un salasso da 89 milioni. Soldi ai corsi di gattologia.
Il grosso dei fondi per Cattolica, Bocconi e Luiss. Facoltà-fantasia nelle università statali: “Scienza e cultura alpina” e “Lingua sarda”.
Ogni contribuente italiano nel suo piccolo devolve qualcosa alle università non statali. Merito della legge 243 del 1991 che stabilizza le erogazioni anche per gli atenei privati...
Il sistema universitario italiano costa circa 8 miliardi di euro...Il problema è che alcuni atenei spendono questi denari “sistemando” parenti e affini dei soliti baroni o creando cattedre come “Igiene e benessere del cane e del gatto”, “Sociologia del turismo” e “Lingua e letteratura sarda”. O interi corsi di laurea come “Scienza e cultura alpina”...
Se l'Italia vuole continuare a essere “grande”, non può continuare a investire in ricerca l'1,1% del Pil. Le risorse ci sarebbero: basta toglierne un po' a cani e gatti.

(Gian Maria De Francesco su “Il Giornale” del 21/7/2011)

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Il sistema universitario italiano ha molti e gravi difetti, non ci sono dubbi. E tuttavia l'immagine catastrofica di un baraccone vecchio, iniquo, nella maggior parte dei casi incapace di preparare giovani studiosi competitivi a livello internazionale, è un'immagine, va ripetuto, distorta e caricaturale. Del resto, se così fosse, i cervelli in fuga dal nostro paese, come stormi di rondini impazziti a fine autunno, non saprebbero davvero dove migrare. E invece il fatto che molti, se non addirittura la maggior parte, riescano a trovare impiego in prestigiose università internazionali andrebbe anche letto, una buona volta, come prova a contrario. E' un dato di fatto: un sistema malandato come il nostro riesce, nonostante ostacoli, fondi ridicoli e plurime difficoltà, a formare ancora un numero elevato di ottimi ricercatori. E non è detto che lo stesso avvenga anche in quei paesi, tanto ammirati e presi a modello dai liberali nostrani di ogni colore, dove i nostri cervelli in fuga trovano casa....
Di questo e molto altro ancora discute un recente saggio di Vincenzo Zeno Zencovich: “Ci vuole poco per fare un'università migliore”(Il Sirente)... In tempi di continua e feroce autodenigrazione, il libro difende con forza i punti alti della nostra formazione, della nostra cultura di base, e, più in generale, del nostro modo di vivere...
Per migliorare l'università servono piuttosto strategie minimaliste e pragmatiche: potenziare al massimo quello che già esiste e funziona bene e disincentivare radicalmente, con procedure mirate, le sacche di abulìa, di malgoverno, di immobilismo. E poi ci vorebbe uno Stato intelligente, capace di promuovere e di difendere la nostra ricerca e soprattutto il nostro patrimonio culturale, immenso, ricchissimo, ma lasciato, come le rovine di Pompei, alla furia dei venti contrari.

(Daniele Balicco sul supplemento “Alias” del Manifesto del 16/7/2011)

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Punto primo: la legge Gelmini toglie autonomia alle università in quanto prevede controlli ministeriali più fitti e pervasivi, riduce gli organi accademici a passacarte, riordina corsi e facoltà sulla base non delle esigenze dei singoli atenei ma di un modello statale unico. Infine fa entrare i privati nei consigli di amministrazioni, senza specificare né i criteri di accesso né le finalità. Almeno portassero soldi...
Punto secondo: smantella il sistema pubblico a favore delle università private. Non è uno slogan da corteo, è una tristissima realtà. Dopo l'ondata di riconoscimenti di università di ogni tipo dalla nefasta gestione Moratti, ora ci risiamo con “università” fatte in cortile equiparate alle più prestigiose istituzioni di questo Paese. E, orrore tra gli orrori, anche il mitico Cepu...anche quello verrà riconosciuto. Il messaggio è chiaro: si può avere un titolo universitario anche frequentando atenei senza docenti e senza alcuna idea di cosa siano cultura e ricerca...

(Piero Ignazi su “L'Espresso” del 6/1/2011)

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Il male oscuro delle università italiane è che sono organizzate su misura dei professori e non degli studenti. E questo habitus si perpetua. Guardate la riforma Gelmini: tutto il dibattito è su come riorganizzare la governance che ridistribuisce il potere interno. Poche parole sui contenuti della didattica che dovrebbero essere il vero problema.

(Pier Luigi Celli, direttore Luiss, sul supplemento “Affari & Finanza” di Repubblica del 13/6/2011)