venerdì 14 luglio 2017

Che succede in Nigeria, a partire da una intervista a Descalzi

Interessante intervista all'Amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi, oggi su La Stampa.

Descalzi dice cose ragionevoli, con semplicità, anche se a volte - per essere l'Ad della multinazionale italiana più importante al mondo - rischia l'effetto "vecchia analisi marxista".

Per esempio quando dice che lo sviluppo postcoloniale "ci ha visti andare, esplorare e sfruttare i campi petroliferi, però esportando tutta la materia prima. Abbiamo lasciato l’Africa senza energia, dunque senza sviluppo e diversificazione industriale".

Per fortuna non ha fatto il discorso della canna da pesca o dell'aiutiamoli a casa loro.

Comunque Descalzi dice che Eni ha capito che è meglio rinunciare a un po' di profitti oggi per costruire modelli più sostenibili di sviluppo. Dice che in Libia lo stanno già facendo anche se - oggi - lasciare gas alla Libia vuol dire lasciarlo ad un Paese che non è certo un modello di stato di diritto.

Dice che stabilizzare la Libia è giusto ma non è per niente facile, e che dunque le migrazioni - che lui chiama "problema esistenziale" - continueranno come uno tsunami.

Per investire in energia in Africa, anche da parte delle multinazionali, ci vuole uno Stato che garantisca il funzionamento del business.

Prendiamo la Nigeria.

Per ora questo Paese, quanto alla possibilità di fare affari, è messo male - almeno stando al rapporto Doing Business della Banca Mondiale. Ha guadagnato una posizione rispetto all'anno scorso: è al posto 169 invece che al 170.

E tuttavia leggendo il rapporto si scopre che in Nigeria, perlomeno, l'accesso al credito è molto più facile che in molte altre parti del mondo. L'Italia, nella classifica sull'accesso al credito, è al 101esimo posto. La Nigeria è al 45esimo, anche grazie a riforme puntalmente segnalate nel rapporto. Solo che il numero di persone e di aziende che accedono al credito bancario sono un decimo di quelle che usano le banche nei Paesi economicamente avanzati.

Inoltre diversi segnali, piccole tensioni che da mesi si leggono sulla stampa locale, non sono incoraggianti. La Nigeria ha già vissuto momenti drammatici cinquant'anni fa, quando la parola Biafra era sulla bocca di tutti. Oggi il rischio di una guerra civile secessionista, di uno scontro tra i nigeriani del nord e quelli del sud, tra gli Igbo che vorrebbero un loro Stato e gli hausa che vorrebbero la Nigeria unita. Ma che in alcuni casi cacciano gli Igbo rimandandoli in quello che una volta era il Biafra.

Dopo la stampa locale, anche Al Jazeera ha parlato di queste tensioni.

Se anche i nigeriani, da "migranti economici", diventassero richiedenti asilo che fuggono da una guerra il "problema esistenziale" rischia di diventare europeo.




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