giovedì 3 aprile 2014

Tutele e lavoro: perché il lavoro non c'è, e perché togliere le tutele - o metterle - non serve a niente

L'avvocato Laser torna ad intervenire - da persona competente - sul tema del lavoro, per dire la sua sul ddl delega che prevede il cosiddetto contratto di inserimento a tutele crescenti. Sul tema del contenzioso, che avevamo sollevato in un precedente post - dice che l'aspirazione di ridurlo, il contenzioso, è sbagliata; ed è sbagliata perché lascerebbe ancor più privi di tutele i lavoratori, che nel rapporto di lavoro sono ancora la parte debole. Se è indubbia quest'ultima notazione, quel che ancora non si capisce bene è quale sia il livello del contenzioso oggi. Quante cause ci sono? Quanti lavoratori si sono rivolti al giudice dopo che un contratto non è stato rinnovato, o dopo che è stata apposta una causale qualsiasi nell'ambito di quel "causalone" che consulenti del lavoro, avvocati e sindacalisti conoscono benissimo?
La mia impressione è che - proprio perché il lavoratore è parte debole del rapporto - difficilmente fa causa. Che di cause ce ne sono poche, come poche secondo me erano quelle per il reintegro ex articolo 18.
E comunque nel caso del tempo determinato il causalone consentiva e consente al datore di lavoro di scrivere qualcosa per giustificare il ricorso al tempo determinato, senza particolari problemi. E che per questo, insomma, di cause non ce ne siano granchè.
In breve: se non si assume non è perché c'è la causale. E se si assume non è nonostante la causale.
Così come: se non si assume non è perché c'è o c'era l'articolo 18. E se si assume, non è nonostante l'articolo 18.
Per spiegarmi ancor meglio: io sono entrato in una azienda anni fa con un contratto di formazione lavoro, strumento che oggi non esiste più. Questo contratto prevedeva l'obbligo per il datore di lavoro di fornire, con la retribuzione, una specifica attività formativa e di seguire questa attività formativa. Io - e sono sicuro che valga per quasi tutti i miei coetanei che hanno cominciato a lavorare in questo modo - avrò fatto sì e no una settimana di formazione finta, nel senso che conoscevo benissimo il lavoro e non avevo particolari bisogni di essere formato. Conveniva all'azienda perché si era inquadrati in una qualifica inferiore, e si avevano sgravi. Come per i contratti a tempo determinato di oggi ci voleva la forma scritta. E dopo due anni, l'azienda doveva confermare una percentuale dei contratti di formazione lavoro. Era insomma un altra "furbizia all'italiana", che ha consentito a me di entrare e poi di passare al tempo inderminato in quell'azienda. E a tanti come me in Italia. Ma se non ci fossero state le condizioni economiche di partenza, se cioè non ci fosse stata una condizione promettente per l'assunzione, non sarei mai entrato a lavorare, né con quel tipo di contratto né con qualsiasi altro. Il contratto è stato un trucchetto legittimo che l'azienda ha usato, per spendere di meno e mettere alla prova qualche lavoratore, per poi scegliere. Tra l'altro fummo tutti confermati a parte uno che proprio non era in grado di lavorare, perché sennò l'azienda avrebbe tenuto anche lui.
Quello che penso, insomma, è che non siano le norme che creano o tolgono posti di lavoro. E che non siano le tutele a proteggere chi lavora, in condizioni di normalità. Che non serve fare ogni due anni un ddl, perché non è con i contratti a tutela crescente che si creano posti di lavoro, che non si creano per legge, mai.


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