Succede molto spesso che da un
barcone carico di migranti provenienti dall'Africa, quando è in
difficoltà, senza benzina, in preda alle onde, o a poche decine di
miglia dalla costa italiana, parta una telefonata da un satellitare.
Il numero che viene composto è quasi sempre quello di don Mussie
Zerai, prete eritreo, Presidente di una agenzia di stampa e di
assistenza che si chiama Habeshia, basata a Roma, o, meglio, nella
Città del Vaticano. E' “l’angelo dei disperati”, secondo
alcuni
o un indisturbato favoreggiatore della immigrazione clandestina,
secondo altri
.
In
ogni caso Padre Mussie è un eritreo, come almeno 155 dei
sopravvissuti dalla strage in mare del 3 ottobre, come molti di
quelli che continuano a morire in mare. E Mussie ancora ieri ha
denunciato: <<L'ambasciatore eritreo ed i suoi funzionari si
aggirano indisturbati a Lampedusa, tra i richiedenti asilo,
raccogliendo dati e fotografie per la schedatura dei fuggitivi, senza
che nessuna autorità italiana intervenga>>. Secondo il
sacerdote cattolico la presenza a Lampedusa di Zemede Tekle,
ambasciatore di Eritrea a Roma, mette a repentaglio la sicurezza dei
parenti dei rifugiati, rimasti nel loro Paese.
Perché
ogni mese, dicono le stime delle Nazioni Unite, 3000 persone lasciano
l'Eritrea, spesso via mare. E a volte arrivano più lontano: pochi
giorni dopo della strage di Lampedusa, una piccola notizia veniva
dalla Svizzera: 11 immigrati eritrei sono stati fermati dalla polizia
al confine del Gran San Bernardo. Erano in Italia, in una macchina
con targa svizzera, a pochi chilometri dal confine. Guidava uno
svizzero di origine eritrea. Alcuni sono riusciti a fuggire, ed hanno
tentato di attraversare a pedi il confine; qualcuno ci è riuscito,
qualcun altro è stato portato in ospedale.
Perché
scappano? E che cosa rischiano, nel loro Paese?
Basta
leggere le dichiarazioni del governo di Asmara a proposito del
naufragio e della strage del 3 ottobre scorso. Quella strage, ha
detto il governo eritreo, è un <<crimine efferato contro il
popolo eritreo e il governo>>, nell'ambito di un generalizzato
disegno di aggressione a questo Paese. Una <<aggressione contro
la sovranità del Popolo eritreo>>, per mezzo di <<sanzioni
illegali>> fino alla <<aggressione esplicita>>. E
quando queste agfressioni sono fallite, i cospiratori sarebbero
passati al <<traffico di uomini>>, allo scopo di
<<disintegrare e paralizzare l'indomito popolo e il governo
dell'Eritrea>>. Feroci trafficanti di uomini, insomma,
perseguirebbero il disegno di indebolire nello spirito e nel corpo il
popolo e il governo eritreo. E – chiede il governo di Asmara –
occorre <<indagare, da parte di istituzioni indipendenti, e
mettere fine a questo fenomeno, assicurando alla giustizia i
responsabili>>. La responsabilità primaria ricade sulla
<<Amministrazione Usa>>.
Qualche
giorno dopo è stato lo stesso Presidente eritreo ad esprimersi,
attraverso un portavoce. E le parole erano quasi identiche: la strage
è <<un crimine contro gli eritrei, specie i giovani eritrei>>,
ha detto Yemane Ghebreab. E' opera di “trafficanti di uomini”,
dietro i quali agiscono “potenti forze” , le stesse che conducono
da anni una <<guerra contro l'Eritrea, attraverso le sanzioni e
l'occupazione illegale del nostro territorio>>.
<<Se
i nostri giovani dicono che sono eritrei hanno un trattamento di
favore>> da parte dei governi <<nemici>> ha
spiegato il Portavoce. Ma dimentica di dire che nessun uomo o donna
sotto i 60 anni può avere un passaporto, perché fino a quell'età
sono tutti chiamati a fare il servizio militare. E spesso si deve
rimanere sotto le armi anche per 5 o 10 anni.
Nel 2009 Human Right
Watch diramò un rapporto dal titolo “Service for life: state
repression and indefinite conscription in Eritrea” . Il rapporto
descrive come prigionieri politici, religiosi, o semplici obiettori
siano torturati. Di decine di prigioneri tenuti in celle sottoterra
per mesi o anni. Di altri trattenuti in navi cargo, con temperature
non tollerabili. Di frequenti morti in carcere.
Le
sanzioni Onu comunque non sono dovute a questo: alla fine del 2009 le
Nazioni Unite – su proposta dell'Unione Africana – hanno varato
un pacchetto di sanzioni che prevede l'embargo sulla vendita di armi
e di equipaggiamenti militari e il congelamento di fondi, azioni e
risorse economiche eritree all'estero. Alla base delle sanzioni il
sostegno che il governo di Asmara forniva alla opposizione armata al
fragile governo somalo e l'occupazione di una zona di confine contesa
con il Gibuti. Da allora di sanzioni Onu e di moniti ce ne sono statealtre e il governo di Asmara non ha smesso di sostenere gruppiarmati.
Indipendente
dall'Etiopia dal 1993, dopo un referendum che ha avuto il 99 per
cento dei sì, l'Eritrea è una delle tante speranze deluse per chi
ha sostenuto le lotte di liberazione africane. Il Fronte di
Liberazione del Popolo Eritreo, che aveva ricacciato due anni prima
nei propri confini l'esercito etiope, godeva di una certa popolarità
anche in Italia. E l'elezione da parte di una assemblea costituente
del Presidente Isaias Afewerki, appunto nel 1993, sembrava la
premessa per la nascita di un Paese democratico. Da allora però le
elezioni non ci sono mai state, e l'Eritrea è sprofondata da anni
nella condizione di “prigione a cielo aperto”, per usare la
definizione del Press Freedom Index di Reporters senza frontiere. E
oggi, e da molti anni, è agli ultimi posti dell'indice della libertà
di stampa, insieme alla Corea del Nord e al Turkmenistan. Il governo
di liberazione è presto diventato simile a tanti altri regimi nati
dalle lotte di liberazione: paranoico, con una politica estera
aggressiva, con una particolare tendenza a ripetere gli schemi: In
Eritrea ci sono una tv di stato e due radio di stato. I giornali ostili finiscono in carcere.
Come
se non bastasse l'Eritrea è in fondo alla classifica anche per
l'indice della Fondazione Mo Ibrahim, che dal 2006 offre un
monitoraggio costante sul “buon governo” in Africa. La classifica
che ogni anno la Mo Ibrahim Foundation propone “misura” lo Stato
di diritto, i diritti umani e la partecipazione, lo sviluppo
economico, l'indice di sviluppo umano (sanità, alfabetizzazione,
parità tra i sessi). Se può consolare, quest'ultimo dato è quello
in cui il Paese è “solo” al ventunesimo posto, su 52. Ilservizio militare femminile aiuta la parità, evidentemente.
Ma
complessivamente il posto che viene assegnato all'Eritrea è il
numero 50. Dietro ci sono solo la Somalia e la Repubblica Democratica
del Congo.
Altro
rapporto: l'Eritrea ha drammatici livelli di malnutrizione edenutrizione: con il Burundi e le Comore è tra i paesi con livelli
definiti “allarmanti”, secondo i dati diffusi qualche giorno fa,
in occasione della giornata mondiale dell'alimentazione
E
per tutto questo – non per un complotto – che i giovani eritrei
lasciano il loro Paese e i loro cari, rischiando e spesso perdendo la
vita in mare.
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