sabato 1 agosto 2015

Eritrea, perché si scappa da quel Paese

Scrissi questo articolo nell'ottobre del 2013, quando probabilmente l'Eritrea era meno nota di oggi. Anche le polemiche, quando ancora Salvini non era così popolare tra gli ambienti della destra italica, erano uguali a quelle di oggi. L'Eritrea intanto è allo stesso punto di prima. Da lì continuano a scappare.

Succede molto spesso che da un barcone carico di migranti provenienti dall'Africa, quando è in difficoltà, senza benzina, in preda alle onde, o a poche decine di miglia dalla costa italiana, parta una telefonata da un satellitare. Il numero che viene composto è quasi sempre quello di don Mussie Zerai, prete eritreo, Presidente di una agenzia di stampa e di assistenza che si chiama Habeshia, basata a Roma, o, meglio, nella Città del Vaticano. E' “l’angelo dei disperati”, secondo alcuni  o un indisturbato favoreggiatore della immigrazione clandestina, secondo altri
.
In ogni caso Padre Mussie è un eritreo, come almeno 155 dei sopravvissuti dalla strage in mare del 3 ottobre, come molti di quelli che continuano a morire in mare. E Mussie ancora ieri ha denunciato: <<L'ambasciatore eritreo ed i suoi funzionari si aggirano indisturbati a Lampedusa, tra i richiedenti asilo, raccogliendo dati e fotografie per la schedatura dei fuggitivi, senza che nessuna autorità italiana intervenga>>. Secondo il sacerdote cattolico la presenza a Lampedusa di Zemede Tekle, ambasciatore di Eritrea a Roma, mette a repentaglio la sicurezza dei parenti dei rifugiati, rimasti nel loro Paese.

Perché ogni mese, dicono le stime delle Nazioni Unite, 3000 persone lasciano l'Eritrea, spesso via mare. E a volte arrivano più lontano: pochi giorni dopo della strage di Lampedusa, una piccola notizia veniva dalla Svizzera: 11 immigrati eritrei sono stati fermati dalla polizia al confine del Gran San Bernardo. Erano in Italia, in una macchina con targa svizzera, a pochi chilometri dal confine. Guidava uno svizzero di origine eritrea. Alcuni sono riusciti a fuggire, ed hanno tentato di attraversare a pedi il confine; qualcuno ci è riuscito, qualcun altro è stato portato in ospedale.
Perché scappano? E che cosa rischiano, nel loro Paese?

Basta leggere le dichiarazioni del governo di Asmara a proposito del naufragio e della strage del 3 ottobre scorso. Quella strage, ha detto il governo eritreo, è un <<crimine efferato contro il popolo eritreo e il governo>>, nell'ambito di un generalizzato disegno di aggressione a questo Paese. Una <<aggressione contro la sovranità del Popolo eritreo>>, per mezzo di <<sanzioni illegali>> fino alla <<aggressione esplicita>>. E quando queste agfressioni sono fallite, i cospiratori sarebbero passati al <<traffico di uomini>>, allo scopo di <<disintegrare e paralizzare l'indomito popolo e il governo dell'Eritrea>>. Feroci trafficanti di uomini, insomma, perseguirebbero il disegno di indebolire nello spirito e nel corpo il popolo e il governo eritreo. E – chiede il governo di Asmara – occorre <<indagare, da parte di istituzioni indipendenti, e mettere fine a questo fenomeno, assicurando alla giustizia i responsabili>>. La responsabilità primaria ricade sulla <<Amministrazione Usa>>.
Qualche giorno dopo è stato lo stesso Presidente eritreo ad esprimersi, attraverso un portavoce. E le parole erano quasi identiche: la strage è <<un crimine contro gli eritrei, specie i giovani eritrei>>, ha detto Yemane Ghebreab. E' opera di “trafficanti di uomini”, dietro i quali agiscono “potenti forze” , le stesse che conducono da anni una <<guerra contro l'Eritrea, attraverso le sanzioni e l'occupazione illegale del nostro territorio>>.
<<Se i nostri giovani dicono che sono eritrei hanno un trattamento di favore>> da parte dei governi <<nemici>> ha spiegato il Portavoce. Ma dimentica di dire che nessun uomo o donna sotto i 60 anni può avere un passaporto, perché fino a quell'età sono tutti chiamati a fare il servizio militare. E spesso si deve rimanere sotto le armi anche per 5 o 10 anni. 

Nel 2009 Human Right Watch diramò un rapporto dal titolo “Service for life: state repression and indefinite conscription in Eritrea” . Il rapporto descrive come prigionieri politici, religiosi, o semplici obiettori siano torturati. Di decine di prigioneri tenuti in celle sottoterra per mesi o anni. Di altri trattenuti in navi cargo, con temperature non tollerabili. Di frequenti morti in carcere.

Le sanzioni Onu comunque non sono dovute a questo: alla fine del 2009 le Nazioni Unite – su proposta dell'Unione Africana – hanno varato un pacchetto di sanzioni che prevede l'embargo sulla vendita di armi e di equipaggiamenti militari e il congelamento di fondi, azioni e risorse economiche eritree all'estero. Alla base delle sanzioni il sostegno che il governo di Asmara forniva alla opposizione armata al fragile governo somalo e l'occupazione di una zona di confine contesa con il Gibuti. Da allora di sanzioni Onu e di moniti ce ne sono statealtre e il governo di Asmara non ha smesso di sostenere gruppiarmati.

Indipendente dall'Etiopia dal 1993, dopo un referendum che ha avuto il 99 per cento dei sì, l'Eritrea è una delle tante speranze deluse per chi ha sostenuto le lotte di liberazione africane. Il Fronte di Liberazione del Popolo Eritreo, che aveva ricacciato due anni prima nei propri confini l'esercito etiope, godeva di una certa popolarità anche in Italia. E l'elezione da parte di una assemblea costituente del Presidente Isaias Afewerki, appunto nel 1993, sembrava la premessa per la nascita di un Paese democratico. Da allora però le elezioni non ci sono mai state, e l'Eritrea è sprofondata da anni nella condizione di “prigione a cielo aperto”, per usare la definizione del Press Freedom Index di Reporters senza frontiere. E oggi, e da molti anni, è agli ultimi posti dell'indice della libertà di stampa, insieme alla Corea del Nord e al Turkmenistan. Il governo di liberazione è presto diventato simile a tanti altri regimi nati dalle lotte di liberazione: paranoico, con una politica estera aggressiva, con una particolare tendenza a ripetere gli schemi: In Eritrea ci sono una tv di stato e due radio di stato. I giornali ostili  finiscono in carcere.

Come se non bastasse l'Eritrea è in fondo alla classifica anche per l'indice della Fondazione Mo Ibrahim, che dal 2006 offre un monitoraggio costante sul “buon governo” in Africa. La classifica che ogni anno la Mo Ibrahim Foundation propone “misura” lo Stato di diritto, i diritti umani e la partecipazione, lo sviluppo economico, l'indice di sviluppo umano (sanità, alfabetizzazione, parità tra i sessi). Se può consolare, quest'ultimo dato è quello in cui il Paese è “solo” al ventunesimo posto, su 52. Ilservizio militare femminile aiuta la parità, evidentemente.

Ma complessivamente il posto che viene assegnato all'Eritrea è il numero 50. Dietro ci sono solo la Somalia e la Repubblica Democratica del Congo.
Altro rapporto: l'Eritrea ha drammatici livelli di malnutrizione edenutrizione: con il Burundi e le Comore è tra i paesi con livelli definiti “allarmanti”, secondo i dati diffusi qualche giorno fa, in occasione della giornata mondiale dell'alimentazione 

E per tutto questo – non per un complotto – che i giovani eritrei lasciano il loro Paese e i loro cari, rischiando e spesso perdendo la vita in mare.



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