mercoledì 21 settembre 2011

Carcere e lavoro

Argomenti si propone di offrire, sui temi in discussione ogni giorno, qualcosa di più di un titolo. Si propone di offrire riflessioni e spunti per riflettere, di andare un po' più a fondo delle cose. Non sarà più di moda andare "alla radice", come diceva un filosofo. Ma almeno un po' più a fondo della superficie, questo ci sembra doveroso. 




Oltre il danno la beffa. Alcuni ex detenuti del Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di Ponte Galeria a Roma dopo essere stati impiegati come lavoranti in carcere non hanno potuto riscuotere il giusto compenso economico in quanto clandestini. Un assurdo caso di burocrazia all’italiana. A denunciare l’ingiustizia è stato Angiolo Marroni, il garante dei detenuti del Lazio. “In carcere hanno lavorato regolarmente e devono essere retribuiti – ha fatto sapere Marroni in una nota -. Scontata la pena, sono stati considerati clandestini e quindi trasferiti al Cie di Pone Galeria in attesa di espulsione. Ma lo status di clandestino non consente loro di incassare i compensi per il lavoro svolto in carcere”. Il paradosso consiste nel fatto che la direzione dell’Istituto di provenienza deve inviare all’ex lavorante un assegno non trasferibile da ritirare all’ufficio postale di Ponte Galeria. Piccolo particolare: l’assegno non può essere riscosso dall’immigrato, impossibilitato a uscire liberamente dal Cie. E che soprattutto è sprovvisto di un documento di identità…
(Su Left del 27/8/2010)

* * * * * *

Fateci restare in carcere: la libertà ci toglie lavoro.
Giuseppe, Salim, Anna non ne vogliono sapere di tornare a casa. Preferiscono restare in galera. Non è uno scherzo, accade a Bollate, carcere alla periferia di Milano immune da sovraffollamento, celle aperte fino a sera, con 1.110 detenuti, metà occupati a lavorare, dentro o fuori il muro di cinta, metà impegnati nello studio, in attività culturali, sportive, giuridiche, musicali. Giuseppe, Salim e Anna sono 3 dei 35 “fortunati” che, grazie alla legge “svuota carceri” da oggi in vigore, potrebbero consumare il resto della condanna in “detenzione domiciliare”. A casa… Eppure, vogliono restare “dentro”. E così altri 9 detenuti. Possibile? A Bollate – spiegano – hanno un lavoro ben pagato, sono indipendenti, aiutano la famiglia, misurano la propria capacità di fare. Ed escono in permesso. Giuseppe fa l’operatore ecologico a 850 euro al mese; Salim tratta l’amianto e guadagna 500 euro; Anna lavora in sartoria. Con la detenzione domiciliare perderanno lavoro, soldi e possibilità di uscire, se non da evasi. Meglio Bollate, dicono. Paradossi da galera, di quella che funziona.
( Donatella Stasio sul Sole-24 Ore del 16/12/2010)

* * * * * *

Dai penitenziari romani si può uscire in libera pedalata. Dieci detenuti, alla guida di otto risciò a pedalata assistita, portano a spasso i turisti per le strade del centro storico. I veicoli a tre ruote (ognuno costa circa 6.500 euro) sono stati comprati dal ministero della Giustizia. L’obiettivo? Far scontare la pena all’esterno del carcere, favorendo il reinserimento lavorativo dei detenuti.
Il servizio, gestito dalla cooperativa Blow Up, per ora è gratuito. “Finita la fase di sperimentazione” dice Corrado Scimia di Blow Up “il Comune stabilirà regole e orari. Quando le corse si pagheranno, i ciclotaxi garantiranno un reddito agli autisti”.
(Alberto Fiorillo sul Venerdì di Repubblica dell’8/10/2010)

Nessun commento:

Posta un commento