Oltre il danno la beffa. Alcuni ex detenuti del Centro di
identificazione ed espulsione (Cie) di Ponte Galeria a Roma dopo essere
stati impiegati come lavoranti in carcere non hanno potuto riscuotere il
giusto compenso economico in quanto clandestini. Un assurdo caso di
burocrazia all’italiana. A denunciare l’ingiustizia è stato Angiolo
Marroni, il garante dei detenuti del Lazio. “In carcere hanno lavorato
regolarmente e devono essere retribuiti – ha fatto sapere Marroni in una
nota -. Scontata la pena, sono stati considerati clandestini e quindi
trasferiti al Cie di Pone Galeria in attesa di espulsione. Ma lo status
di clandestino non consente loro di incassare i compensi per il lavoro
svolto in carcere”. Il paradosso consiste nel fatto che la direzione
dell’Istituto di provenienza deve inviare all’ex lavorante un assegno
non trasferibile da ritirare all’ufficio postale di Ponte Galeria.
Piccolo particolare: l’assegno non può essere riscosso dall’immigrato,
impossibilitato a uscire liberamente dal Cie. E che soprattutto è
sprovvisto di un documento di identità…
(Su Left del 27/8/2010)
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Fateci restare in carcere: la libertà ci toglie lavoro.
Giuseppe, Salim, Anna non ne vogliono sapere di tornare a casa. Preferiscono restare in galera. Non è uno scherzo, accade a Bollate, carcere alla periferia di Milano immune da sovraffollamento, celle aperte fino a sera, con 1.110 detenuti, metà occupati a lavorare, dentro o fuori il muro di cinta, metà impegnati nello studio, in attività culturali, sportive, giuridiche, musicali. Giuseppe, Salim e Anna sono 3 dei 35 “fortunati” che, grazie alla legge “svuota carceri” da oggi in vigore, potrebbero consumare il resto della condanna in “detenzione domiciliare”. A casa… Eppure, vogliono restare “dentro”. E così altri 9 detenuti. Possibile? A Bollate – spiegano – hanno un lavoro ben pagato, sono indipendenti, aiutano la famiglia, misurano la propria capacità di fare. Ed escono in permesso. Giuseppe fa l’operatore ecologico a 850 euro al mese; Salim tratta l’amianto e guadagna 500 euro; Anna lavora in sartoria. Con la detenzione domiciliare perderanno lavoro, soldi e possibilità di uscire, se non da evasi. Meglio Bollate, dicono. Paradossi da galera, di quella che funziona.
( Donatella Stasio sul Sole-24 Ore del 16/12/2010)
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Dai penitenziari romani si può uscire in libera pedalata. Dieci detenuti, alla guida di otto risciò a pedalata assistita, portano a spasso i turisti per le strade del centro storico. I veicoli a tre ruote (ognuno costa circa 6.500 euro) sono stati comprati dal ministero della Giustizia. L’obiettivo? Far scontare la pena all’esterno del carcere, favorendo il reinserimento lavorativo dei detenuti.
Il servizio, gestito dalla cooperativa Blow Up, per ora è gratuito. “Finita la fase di sperimentazione” dice Corrado Scimia di Blow Up “il Comune stabilirà regole e orari. Quando le corse si pagheranno, i ciclotaxi garantiranno un reddito agli autisti”.
(Alberto Fiorillo sul Venerdì di Repubblica dell’8/10/2010)
(Su Left del 27/8/2010)
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Fateci restare in carcere: la libertà ci toglie lavoro.
Giuseppe, Salim, Anna non ne vogliono sapere di tornare a casa. Preferiscono restare in galera. Non è uno scherzo, accade a Bollate, carcere alla periferia di Milano immune da sovraffollamento, celle aperte fino a sera, con 1.110 detenuti, metà occupati a lavorare, dentro o fuori il muro di cinta, metà impegnati nello studio, in attività culturali, sportive, giuridiche, musicali. Giuseppe, Salim e Anna sono 3 dei 35 “fortunati” che, grazie alla legge “svuota carceri” da oggi in vigore, potrebbero consumare il resto della condanna in “detenzione domiciliare”. A casa… Eppure, vogliono restare “dentro”. E così altri 9 detenuti. Possibile? A Bollate – spiegano – hanno un lavoro ben pagato, sono indipendenti, aiutano la famiglia, misurano la propria capacità di fare. Ed escono in permesso. Giuseppe fa l’operatore ecologico a 850 euro al mese; Salim tratta l’amianto e guadagna 500 euro; Anna lavora in sartoria. Con la detenzione domiciliare perderanno lavoro, soldi e possibilità di uscire, se non da evasi. Meglio Bollate, dicono. Paradossi da galera, di quella che funziona.
( Donatella Stasio sul Sole-24 Ore del 16/12/2010)
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Dai penitenziari romani si può uscire in libera pedalata. Dieci detenuti, alla guida di otto risciò a pedalata assistita, portano a spasso i turisti per le strade del centro storico. I veicoli a tre ruote (ognuno costa circa 6.500 euro) sono stati comprati dal ministero della Giustizia. L’obiettivo? Far scontare la pena all’esterno del carcere, favorendo il reinserimento lavorativo dei detenuti.
Il servizio, gestito dalla cooperativa Blow Up, per ora è gratuito. “Finita la fase di sperimentazione” dice Corrado Scimia di Blow Up “il Comune stabilirà regole e orari. Quando le corse si pagheranno, i ciclotaxi garantiranno un reddito agli autisti”.
(Alberto Fiorillo sul Venerdì di Repubblica dell’8/10/2010)
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