L'Unità ha un bell'archivio online, ci sono proprio le pagine del giornale, se cercate con pazienza trovate pure diverse delle edizioni clandestine degli anni 20, e da lì in avanti fino al 2008.
Comunque, vi faccio omaggio di una sobria cronaca di un incontro che Ingrao fece con i giovani del Pci a Torino.
Caruccio anche perché ad introdurre Ingrao c'era il giovane Giuliano Ferrara, nella sua qualità di presidente dell'Assemblea. Dava la parola a Livia Turco e pure a una cattolica di base che adesso se magnerebbe a mozzichi.
Buona lettura. Era il 28 novembre 1978
"Una riflessione
su ciò che avviene: così Pietro Ingrao domenica ha definito
il suo discorso al Teatro
Carignano, gremito dalla platea
all'ultima galleria. E' stata
una riflessione appassionata
e corale non solo per la
partecipazione del pubblico.
che ha applaudito spesso e
con calore, ma per il modo
in cui la riunione era stata
concepita dagli organizzatori, la Federazione comunista e
la Federazione giovanile. Giuliano
Ferrara, che presiedeva
l'assemblea aveva dato la parola,
prima di Ingrao a
quattro giovani, che avevano
presentato i problemi delle
nuove generazioni — tema
della manifestazione — con
ottiche diverse: Livia Turco.
segretario della FGC torinese,
Oliviero Nomis militante
del Pdup, Elena Manzione, del Movimento cattolico di base,
Claudio Valeri, dirigente dei
giovani socialisti".
"In forme diverse un tema è
stato al centro dei quattro
interventi: la democrazia, il
modo di far politica oggi. Il
presidente della Camera ha
richiamato la esperienza della
propria generazione che
comprese — per forza di
grandi, tragici eventi — come
il « privato » non poteva
salvarsi senza un impegno
pubblico di massa. Per « opporsi
ad Hitler, alla sua ideologia
totalizzante bisognava
essere milioni, nazioni intere
». Anche in quella scelta
dunque il « privato » la « soggettività
» entrò moltissimo.
Ai compagni anziani Ingrao ha detto: stiamo attenti a
pensare che i giovani abbiano
perso la bussola, non abbiano
più una prospettiva: rivalutare
la soggettività non è.
di per sé. un ripiegamento. Ma i giovani debbono sapere
che anche certe ansie, certe
infelicità che essi vivono, esistono
perché siamo andati
avanti, abbiamo combattuto e
lottato. Quando Berlinguer a
Genova ha detto che i giovani
di oggi, con i loro problemi
sono figli nostri, ha
detto una cosa giusta. Tiriamone
le conseguenze — ha
esclamato Ingrao — e agiamo
verso di loro senza paternalismi.
Sul lavoro i giovani oggi
non si pongono più solo il
problema del salario, ma
quello dei fini del proprio operare.
ricercano quel rapporto
fra prodotto e produttore
sul quale x indagava. Ingrao ha ricordato la sconfitta
alla Fiat del 1955 e la
dura lotta per riconquistare
il diritto di organizzazione
sul luogo di lavoro. Grandi
lotte democratiche si sono
combattute, qualcosa in questi
anni si è modificato in
modo irreversibile. Un modello
di sviluppo, quello della
Fiat, ancora pochi anni fa
indicato come simbolo della
modernità, è entrato in crisi;
è cresciuta la coscienza operaia
sui grandi problemi del
Paese, a cominciare da quello
del ; rapporti
nuovi si sono stabiliti con la
cultura e con la scuola, cioè
col momento formativo. Una
condizione antica di arretratezza
si è superata ' con la
scolarità di massa. a
donna, della condizione femminile,
dei rapporti interpersonali,
della etica della coppia
si parla in a in modo
del tutto diverso da pochi
decenni or sono.
l problema oggi — ha sottolineato
o — è l'allargamento
della democrazia.
l'invenzione di nuovi modi di
far politica. la crescita e la
capacità delle masse — con
al centro la classe operaia —
di intervenire nei punti decisivi
della vita nazionale.
Su questo tema o è
tornato rispondendo ieri mattina.
nella storica sala del
consiglio comunale, al cordiale
saluto del sindaco o
Novelli.
« Nostro compito, al centro
dello Stato e nelle assemblee
dove sempre più deve decentrarsi
il potere, non è solo
far buone leggi ma lavorare
tutti insieme perchè la vita
degli organismi della nostra
democrazia sia quella
che i cittadini vogliono ». Il sindaco aveva ricordato
le vittime del terrorismo, gli
uomini della polizia e dei carabinieri,
i giornalisti, gli
uomini politici, fino all'architetto De Orsola, cattolico attivissimo
in quella più recente
forma di articolazione
democratica che sono i comitati
di quartiere".
lunedì 28 settembre 2015
lunedì 14 settembre 2015
Mariana, perché?
Giuro, ho grande stima per Mariana Mazzucato, ho letto il suo libro sullo Stato imprenditore, l'ho pure intervistata una volta, quando ancora non era famosa. Amo pure Brian Eno. E Varoufakis mi sta simpatico. Ma quando sento di una nuova narrativa economica per l'Europa di cui parlerebbero questi tre mi viene da mettere mano alla pistola, come diceva quello.
Drinking a glass of wine tonight for a new Economic Narrative (across Europe) with Brian Eno and @yanisvaroufakis. pic.twitter.com/hG8TnpZdzz
— Mariana Mazzucato (@MazzucatoM) September 14, 2015
sabato 12 settembre 2015
"Dentro la Corte" di Sabino Cassese, diario di uno "straniero" alla Consulta
Sabino Cassese ha pubblicato per il Mulino Dentro la Corte, un suo
“diario” da giudice costituzionale.
E' un
documento straordinario per un Paese come il nostro dove – come
dice lui stesso - “i titolari di cariche pubbliche raramente
scrivono libri di memorie o pubblicano i diari delle loro attività”.
Eppure – a parte qualche recensione veloce – è come se non fosse
stato letto. Eppure quelle pagine contengono annotazioni e
riflessioni giuridiche alternate a giudizi “politici” che
farebbero la gioia dei retroscenisti dei quotidiani. Quando – nel
2014 - la Consulta discute di unioni civili, per esempio, a Cassese
arriva un biglietto con la scritta: “Perché il Papa non è rimasto
ad Avignone?”.
Il suo
dunque è un vero diario, con annotazioni curiose, persino
divertenti, che raccontano la vita quotidiana di un giudice
costituzionale, mescolate a riflessioni sulle decisioni prese, sul
ruolo della Corte, sul suo funzionamento, sugli altri sistemi (sono
moltissime infatti le osservazioni su decisioni delle Corti degli
altri Paesi, specie degli Usa e della Germania).
Quel che
Cassese fa fin dall'inizio è discutere la consuetudine di eleggere
presidente il giudice più anziano, scelta che “significa anche
soddisfare l'ambizione di molti di essere per qualche tempo la quarta
carica dello Stato e di poter poi fregiarsi del titolo di presidente
emerito”. Dunque, osserva nei primi giorni del suo mandato, nel
novembre 2005, per distinguersi in quel contesto sarebbe preferibile
scegliere “in base al criterio della rarità”.
Confermerà
la scelta del “criterio della rarità” in una lettera che invierà
ai suoi colleghi il 14 luglio 2014 per chieder loro, in vista della
imminente elezione del presidente, di non essere preso in
considerazione come candidato ritenendo “inadeguato alle esigenze
funzionali e al prestigio stesso della Corte un incarico della durata
di tre mesi nominali (di cui uno estivo) che si ridurrebbero a tre
giorni effettivi di presidenza del collegio”.
La Corte
Costituzionale è nata nel 1956, e da allora si sono succeduti 60
Presidenti. Cassese, che titola uno degli ultimi capitoli del libro
Ho partecipato alla nona elezione di un Presidente in nove anni,
ricorda che la Costituzione prevede che i Presidenti rimangano in
carica tre anni mentre nella sostanza la loro durata in carica è
spesso inferiore all'anno. Conosce l'argomento secondo il quale in
questo modo si rafforza la “collegialità dell'organo” ma pure
non ignora le “critiche costantemente rivolte alle nostre
presidenze brevi” che, pur se a volte “infondate”, sono
“comunque corrosive e tali da recar danno alla reputazione della
Corte”. Le critiche riguardano ad esempio presunti vantaggi
pensionistici per chi esce dalla Corte da presidente. Cassese legge
la lettera ai suoi colleghi. “La maggioranza della Corte (ma è una
minoranza dei componenti) non ascolta”, annota nel suo “diario”.
Conferenziere
di successo tra gli Stati Uniti, la Francia, la Germania e la Gran
Bretagna, con un passato da scholar alla Stanford Law School e di
professore alla Law School della New Yok University oltre che alla
Normale di Pisa, una carriera di studioso, insegnante, amministratore
pubblico e privato, lettore quasi “bulimico”, appassionato di
letteratura ma anche di cinema, Cassese arriva alla Corte
Costituzionale e scopre che “l'atmosfera è a metà tra convento e
collegio di studenti”; annota nei primi giorni del suo mandato che
la Corte “è come un cestino per la carta straccia” dove
finiscono questioni importanti e questioni irrilevanti.
Il
diario è ricco di annotazioni sui casi che in questi anni hanno
occupato le pagine dei giornali, da Previti alla costituzionalità
della legge elettorale, dal potere di grazia al caso Englaro, dalle
extraordinary renditions alla procreazione assistita, al lodo
Alfano, a molti altri; si sofferma su diverse questioni
apparentemente minori ma importanti (il caso di una radio e di una
legge sugli operatori nazionali merita nel libro un capitoletto
intitolato Kiss Kiss); elenca alcuni “temi futili e
ridicoli”, come quello della “certificazione dell'Azienda
sanitaria per la movimentazione del bestiame per evitare la
diffusione della febbre catarrale”.
In
Dentro la Corte si apprende anche di “discussioni accese”
il giorno che nevicò Roma, perché la neve aveva impedito la
presentazione di un ricorso dell'Avvocatura dello Stato che pervenne
fuori termine. “L'Avvocatura è un ufficio giudiziario? Lo è la
Corte Costituzionale? Non è vero che gli uffici postali erano
regolarmente funzionanti?”.
Molti
giudici che pongono questioni alla Corte sono definiti “ignoranti”
(giudizio attribuito da Cassese al presidente fino al luglio 2006,
Annibale Marini).
Quanto
al lavoro dei giudici costituzionali, il diario vira sul comico: “Un
collega, dopo una 'settimana' di lavoro iniziata il lunedì
pomeriggio e terminata la sera di martedì, ripete ironicamente lo
slogan degli anni '70: lavoro zero, salario intero”.
Scrive
Cassese che anche le udienze pubbliche si rivelano una delusione,
sono spesso “inutili”, “un rito in cui nessuno crede”, un
“presepe” in cui gli avvocati arrivano impreparati e spesso non
fanno neppure domande. Quando poi si esce dal Palazzo e si partecipa
a “qualche funzione esterna”, si legge ancora nel Diario, “ci
sarebbe da dar ragione a quelli che ritengono la Corte italiana
'Villa Arzilla', una casa di riposo per vecchi”
Quando
entra alla Corte Costituzionale Cassese si stupisce che non si
raccolgano in modo sistematico le sentenze delle Corti degli altri
Paesi. Quando ne esce la Corte accoglie “sistematicamente” le
sentenze costituzionali straniere e traduce in inglese le proprie.
Altre sue proposte rimangono invece al palo, come alcune misure per
“fare risparmi”: “non sono stati fatti e il bilancio non è più
sostenibile”.
La sua
nomina era stata voluta fortemente da Carlo Azeglio Ciampi e Cassese
racconta di averlo “fatto attendere” ma di aver poi accettato
anche perché – come dirà ai suoi studenti congedandosi - “le
cariche pubbliche, se offerte, non si rifiutano”.
Con
qualche compiacimento riproduce in chiusura del volume l'articolo con
cui Eugenio Scalfarì raccontò la sua nomina (insieme a Giuseppe
Tesauro e Maria Rita Saulle) il 3 novembre del 2005 da parte
dell'allora Presidente: tre “tecnici”; si scrisse allora.
Scalfari raccontava di un Berlusconi “infuriato” che minacciò di
non controfirmare la scelta del Presidente. Ma non lo fece. In Dentro
la Corte Cassese scrive anche di sua una visita a Ciampi, che gli
confida che sul suo nome Berlusconi non era d'accordo. “Gli ricordo
che avevo curato la preparazione, nel 1993-1994, di una legge
generale sulla televisione” e che “Berlusconi aveva dichiarato di
esser costretto a 'scendere in politica' per difendersi da chi voleva
regolare il Far West televisivo”.
Cassese
è stato anche giudice relatore, nel 2013, della sentenza che diede
torto a Berlusconi sul conflitto di attribuzione sollevato dall'ex
Cav nei confronti del Tribunale di Milano. Ma appena terminato il
mandato – nel novembre del 2014 – Il Foglio lo ha definito “ilperfetto presidente della Repubblica perché non è “mai diventato
un militante dalle tre narici”, non ha mai brandito la Costituzione
“come se fosse un'arma da sfasciare sulla testa di qualche outsider
malcapitato”.
A
Cassese non sfugge che si parli di lui come possibile Capo dello
Stato e, probabilmente dopo le elezioni del 2013, titola un
capitoletto Parentesi presidenziale.
Dentro
la Corte offre questi e molti altri spunti su questioni che rimangono
di stringente attualità. Per esempio: in questo mese il Parlamento
tenterà per l'ennesima volta di eleggere tre giudici costituzionali.
Per il primo dei tre sarà la ventisettesima votazione (Cassese era
ancora in carica quando ci fu il primo tentativo, nel maggio 2014).
Per gli altri due le fumate nere sono state di meno (quattro per il
secondo, due per il terzo). In ogni caso la Corte Costituzionale da
mesi lavora a ranghi ridotti, con 12 membri invece che 15.
Cassese,
anche di recente, ha criticato il ritardo ma ha anche ricordato che
pure in passato “sono verificate attese lunghe per le decisioni
parlamentari. La Costituzione non prevede sanzioni. Si potrebbe dire
'imputet sibi', perché così il Parlamento gioca un ruolo , a suo
danno”.
Nel
libro in compenso più di una volta critica la crescente tendenza
anche dei “presidenti ponte” a fare dichiarazioni alla stampa;
una tendenza che “risponde alla logica del segnalarsi, del farsi
notare come presidenti anche balneari. Il moralismo, in questi casi,
è rivolto agli altri, al Parlamento che non elegge due componenti
della Corte. Ma da quale pulpito viene la predica? Non sarebbe meglio
star zitti?”.
Cassese
vorrebbe la dissenting opinion, ovvero la possibilità di
rendere pubblico un parere diverso rispetto a quelo adottato dalla
Corte. Lo argomenta da tempo, sostenendo anche che non serve una
legge perché la Corte cominci a funzionare così, e lo fa in
appendice anche in Dentro la Corte. Se la Corte pubblicizzasse
il modo in cui si è arrivati ad una certa decisione si arricchirebbe
il dibattito invece di procedere, in modo sempre più incerto, sulla
strada del “segreto”. Un segreto che magari uno dei tanti
presidenti scioglierà appena diventato emerito.
L'ultimo
capitoletto si intitola Gute Nacht, come uno dei lieder di
Schubert. E con un verso da questo lied, in tedesco e vezzosamente
senza traduzione, si chiude il diario. C'è scritto: “Da straniero
sono venuto, da straniero me ne vado”.
sabato 5 settembre 2015
Nomisma dice che abolire la Tasi non serve e non è equo
Abolire la tassa sulla casa è giusto, dice Renzi.
Serve per far risalire i consumi?
No, secondo Nomisma. "Il taglio dell’imposta sulla prima casa genererebbe uno stimolo per il mercato alquanto modesto, che Nomisma ha già quantificato in circa lo 0,11% rispetto al valore medio di acquisto (circa 181mila euro) per il primo anno e comunque inferiore all’1% considerando i valori attualizzati su un orizzonte decennale. Lo sgravio che verrebbe garantito ad oltre i due terzi delle famiglie italiane che vivono in una casa di proprietà risulterebbe in media altrettanto esiguo, stimabile in circa 17 euro al mese". Lo dice un comunicato di Luca Dondi, consigliere delegato di Nomisma.
Dunque la capacità di stimolo è ridicola, direi.
Dato questo, è giusta perché "equa"? Anche qui Nomisma contesta, citando l'indagine sulle famiglie italiane fatta dalla Banca d'Italia.
Basta vedere la tabella dei redditi medi rispetto al titolo di godimento dell'abitazione
La seconda tabella - sempre citata da Luca Dondi di Nomisma - spiega in maniera chiara come il rapporto tra il valore di mercato e quello catastale degli immobili italiani sia decisamente da rivedere. Spiega anche che prima di pensare a tagliare le tasse sulla casa occorrerebbe intervenire su questi numeri, sulle sperequazioni che esistono tra le città italiane (e all'interno delle città italiane) su quanto una casa vale rispetto a quanto vale per il fisco, perché è sul valore catastale che si pagano le tasse.
Se si prendono Napoli, Firenze o Palermo, ma anche Roma o Milano, abbiamo un rapporto tra valore di mercato e valore catastale sempre superiore a 2, se non a 3 come nel caso di Palermo.
Insomma, si dovrebbe fare una riforma del catasto decente, prima di pensare a tagliare le tasse sulla casa.
Serve per far risalire i consumi?
No, secondo Nomisma. "Il taglio dell’imposta sulla prima casa genererebbe uno stimolo per il mercato alquanto modesto, che Nomisma ha già quantificato in circa lo 0,11% rispetto al valore medio di acquisto (circa 181mila euro) per il primo anno e comunque inferiore all’1% considerando i valori attualizzati su un orizzonte decennale. Lo sgravio che verrebbe garantito ad oltre i due terzi delle famiglie italiane che vivono in una casa di proprietà risulterebbe in media altrettanto esiguo, stimabile in circa 17 euro al mese". Lo dice un comunicato di Luca Dondi, consigliere delegato di Nomisma.
Dunque la capacità di stimolo è ridicola, direi.
Dato questo, è giusta perché "equa"? Anche qui Nomisma contesta, citando l'indagine sulle famiglie italiane fatta dalla Banca d'Italia.
Basta vedere la tabella dei redditi medi rispetto al titolo di godimento dell'abitazione
Titolo
di godimento dell'abitazione e reddito medio
%
|
Reddito medio
annuo (€)
|
|
Di proprietà |
67,2
|
35.454
|
In affitto o subaffitto |
21,8
|
17.766
|
A riscatto |
0,3
|
28.866
|
In usufrutto |
3,3
|
26.532
|
In uso gratuito |
7,4
|
23.229
|
Se ne deduce che i più ricchi sono i proprietari, i più poveri sono quelli che una casa non ce l'hanno. Che poi non ci voleva la Banca d'Italia, mi sa.
La seconda tabella - sempre citata da Luca Dondi di Nomisma - spiega in maniera chiara come il rapporto tra il valore di mercato e quello catastale degli immobili italiani sia decisamente da rivedere. Spiega anche che prima di pensare a tagliare le tasse sulla casa occorrerebbe intervenire su questi numeri, sulle sperequazioni che esistono tra le città italiane (e all'interno delle città italiane) su quanto una casa vale rispetto a quanto vale per il fisco, perché è sul valore catastale che si pagano le tasse.
Se si prendono Napoli, Firenze o Palermo, ma anche Roma o Milano, abbiamo un rapporto tra valore di mercato e valore catastale sempre superiore a 2, se non a 3 come nel caso di Palermo.
Insomma, si dovrebbe fare una riforma del catasto decente, prima di pensare a tagliare le tasse sulla casa.
Comune |
Numero
unità abitative
|
A/1
|
A/2
|
A/3
|
A/4
|
A/5
|
A/6
|
A/7
|
A/8
|
A/9
|
A/11
|
Base
imponibile media
|
Valore
mercato abitazione usata
|
Mercato
VS Catasto
|
Bologna |
223.141
|
0,03
|
8,56
|
70,74
|
19,39
|
0,34
|
0,03
|
0,69
|
0,05
|
0,17
|
0,00
|
135.492
|
274.519,98
|
2,03
|
Firenze |
201.831
|
1,42
|
42,63
|
37,82
|
14,20
|
2,31
|
0,02
|
1,18
|
0,41
|
0,02
|
0,00
|
135.696
|
319.884,08
|
2,36
|
Genova |
326.946
|
1,28
|
16,83
|
58,60
|
19,81
|
2,56
|
0,00
|
0,76
|
0,15
|
0,02
|
0,00
|
128.844
|
222.655,27
|
1,73
|
Milano |
795.120
|
0,36
|
15,81
|
61,83
|
18,20
|
3,29
|
0,06
|
0,42
|
0,01
|
0,02
|
0,00
|
123.714
|
299.851,96
|
2,42
|
Napoli |
435.707
|
0,52
|
41,25
|
21,28
|
25,93
|
10,25
|
0,04
|
0,71
|
0,02
|
0,00
|
0,00
|
99.573
|
283.816,64
|
2,85
|
Padova |
114.912
|
0,10
|
70,22
|
20,55
|
4,89
|
0,18
|
0,02
|
3,97
|
0,05
|
0,00
|
0,00
|
162.440
|
214.903,89
|
1,32
|
Palermo |
321.810
|
0,05
|
35,35
|
32,89
|
20,88
|
4,98
|
0,14
|
5,66
|
0,04
|
0,00
|
0,00
|
60.928
|
192.775,96
|
3,16
|
Roma |
1.452.287
|
0,22
|
52,89
|
24,90
|
13,93
|
0,79
|
0,03
|
7,20
|
0,03
|
0,01
|
0,01
|
176.317
|
356.712,56
|
2,02
|
Torino |
500.569
|
0,42
|
20,20
|
67,20
|
9,65
|
1,77
|
0,01
|
0,62
|
0,11
|
0,00
|
0,00
|
130.125
|
205.338,89
|
1,58
|
Venezia |
146.026
|
0,15
|
19,47
|
53,19
|
23,12
|
2,47
|
0,01
|
1,54
|
0,05
|
0,00
|
0,00
|
110.544
|
342.583,52
|
3,10
|
Verona |
136.141
|
0,03
|
55,49
|
37,40
|
4,49
|
0,82
|
0,03
|
1,70
|
0,03
|
0,00
|
0,00
|
124.043
|
212.335,25
|
1,71
|
martedì 1 settembre 2015
Lavoro, i gufi e i dati
Non si tratta di fare i gufi. I dati dell'Istat diffusi oggi sono incontrovertibili quanto a numeri, e dunque è inutile dire "sì ma". Gli occupati sono aumentati, i disoccupati diminuiti. Se si va a vedere dentro quei numeri, scomponendoli, si può capire meglio di che tipo di lavori e di lavoratori si parla. Ma il dato è netto.
Certo, il Pd si affida a responsabili economici come Filippo Taddei che dice alla tv de L'Unità che i 235 mila italiani in più al lavoro rappresentano "un balzo che non ha molti precedenti negli anni recenti", e qui uno fatica a non mettersi a ridere. A meno di non intendere per anni recenti l'anno scorso o quello prima, di "balzi senza precedenti" come quello di oggi se ne possono contare anche di molto più significativi, per esempio negli anni 2006-2008. Quando l'economia andava bene anche se non c'erano le riforme del governo Renzi. Che sia quello soprattutto a far aumentare l'occupazione?
Taddei poi avrà visto i grafici e dunque dice che cresce di più l'occupazione a tempo indeterminato rispetto a quella a termine. Ma non dice che diminuisce l'occupazione delle persone con meno di 34 anni, e che ad aumentare è quella degli over 50. Meno male, tornano al lavoro quelli che l'avevano perso, sia chiaro.
Aumentano dopo tanti mesi negativi gli occupati nel settore delle costruzioni. Forse dunque l'abolizione della tassa sulla prima casa non serve per dare una spinta al settore.
Taddei non dice che aumentano gli occupati part time "involontari", ovvero quelli che hanno accettato un lavoro ad orario ridotto pur di lavorare. I lavoratori part time non sono pochi, circa 3 milioni e 300 mila. Oltre il 60 per cento di costoro è "involontario", ovvero preferirebbe un lavoro a tempo pieno.
Insomma: i dati sono positivi, speriamo che proseguano così, ma non si capisce perché uno dovrebbe fare gli inni dicendo viva viva viva il grande Renzi e il suo Jobs Act.
Certo, il Pd si affida a responsabili economici come Filippo Taddei che dice alla tv de L'Unità che i 235 mila italiani in più al lavoro rappresentano "un balzo che non ha molti precedenti negli anni recenti", e qui uno fatica a non mettersi a ridere. A meno di non intendere per anni recenti l'anno scorso o quello prima, di "balzi senza precedenti" come quello di oggi se ne possono contare anche di molto più significativi, per esempio negli anni 2006-2008. Quando l'economia andava bene anche se non c'erano le riforme del governo Renzi. Che sia quello soprattutto a far aumentare l'occupazione?
Taddei poi avrà visto i grafici e dunque dice che cresce di più l'occupazione a tempo indeterminato rispetto a quella a termine. Ma non dice che diminuisce l'occupazione delle persone con meno di 34 anni, e che ad aumentare è quella degli over 50. Meno male, tornano al lavoro quelli che l'avevano perso, sia chiaro.
Aumentano dopo tanti mesi negativi gli occupati nel settore delle costruzioni. Forse dunque l'abolizione della tassa sulla prima casa non serve per dare una spinta al settore.
Taddei non dice che aumentano gli occupati part time "involontari", ovvero quelli che hanno accettato un lavoro ad orario ridotto pur di lavorare. I lavoratori part time non sono pochi, circa 3 milioni e 300 mila. Oltre il 60 per cento di costoro è "involontario", ovvero preferirebbe un lavoro a tempo pieno.
Insomma: i dati sono positivi, speriamo che proseguano così, ma non si capisce perché uno dovrebbe fare gli inni dicendo viva viva viva il grande Renzi e il suo Jobs Act.
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