domenica 18 giugno 2017

Sciopero, come se ne esce?

Con una intervista al Corriere della Sera il senatore Ichino spiega che nel settore dei trasporti sarebbe il caso di sottoporre la decisione di scioperare ad un voto con referendum dei lavoratori. Altrimenti, dice, l'astensione dal lavoro di una piccola minoranza blocca l'azienda e lede gravemente il diritto di tutti gli altri cittadini di muoversi.

Sarebbe ragionevole se non prescindesse da un dato: scioperare non è obbligatorio. Anzi, costa. Se si sciopera per otto ore si avranno in busta paga otto ore in meno di stipendio. Dunque se un sindacatino minoritario indice uno sciopero e poi aderisce allo sciopero una percentuale maggioritaria dei lavoratori, il problema rimane. L'adesione è il referendum, un referendum oneroso direi, visto che si paga per partecipare.

Tanto più che l'ultimo sciopero che tante polemiche ha suscitato era stato convocato rispettando tutte le norme che pure in materia di servizi pubblici essenziali non sono lasche. Era in regola e chi ha scioperato ha scioperato.

Nelle aziende di trasporto le cose sono poi complicate dall'organizzazione del lavoro. Visto che non è il caso che l'azienda chieda al lavoratore se il giorno dopo intende scioperare - perché questo comunque configurerebbe una qualche forma di pressione che la legge vieta (Ichino accenna al tema nella intervista e dice che in fondo si potrebbe fare, mettendola come se fosse un problema di privacy, ma il tema è complicato)  - l'unica cosa che le aziende possono fare è vedere come va la mattina.

Nel trasporto pubblico locale non ho memoria di uno sciopero in cui non siano stati semplicemente chiusi i varchi delle metropolitane, anche perché immagino che non sia facile far andare la metropolitana solo quando c'è qualcuno che guidi i convogli e fermarla quando il guidatore sciopera.

Per i bus, ogni tanto qualcuno passa e la gente si mette in coda alla fermata aspettando l'autista che non ha aderito.

Il problema di fondo comunque è il fatto che i lavoratori scioperano. Su questo un può essere d'accordo o no, si può pensare che facciano una stupidaggine e che la piattaforma sulla quale scioperavano è tutta sbagliata quando non inutilmente prolissa (dalla richiesta di rinazionalizzare i servizi di trasporto al no alla guerra imperialista. Chissà se i ferrotranvieri lo sapevano).

Ma alla fine non c'è modo né sarebbe giusto impedire scioperi anche su questo.

D'altra parte in moltissimi ambienti di lavoro i sindacati sono fortemente minoritari o comunque minoritari. Pensate ai giornalisti: hanno un unico sindacato di categoria e gli iscritti sono circa il 50 per cento tra i contrattualizzati. Eppure quando c'è sciopero dei giornalisti quasi tutti i giornali non escono, nonostante ci siano magari legioni di giornalisti pronti a lavorare.

Su una cosa però Ichino ha ragione: servono norme sulla rappresentanza e la rappresentatività per dare al mondo del lavoro regole un po' più stabili. Non a caso uno dei punti della ridondante piattaforma dei sindacati Slb dei trasporti cita con orrore l'accordo sulla rappresentanza del 2014 siglato tra Confindustria e Cgil, Cisl e Uil.

Solo che quell'accordo è fermo al palo. Come ha scritto qualche giorno fa Enrico Marro sul Corriere della Sera, è vero che ha facilitato tanti contratti di categoria. Ma è anche vero che è fermo anche perché se si tratta di misurare la rappresentatività il problema non è solo dei sindacatini autonomi e dei Cobas dei trasporti.
E' anche dei datori di lavoro e delle prerogative dei loro sindacati, Confindustria in testa.

Una legge sulla rappresentanza e la rappresentatività dei sindacati è tema di cui si parla da venti anni e ancora non vede la luce. Una ragione ci sarà, e se ne riparlerà al prossimo dibattito successivo al prossimo caos trasporti.


Nessun commento:

Posta un commento